Ancora morti nel Canale di Sicilia | In arrivo altri 356 migranti ad Augusta

di Redazione

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Ancora morti nel Canale di Sicilia | In arrivo altri 356 migranti ad Augusta

| lunedì 16 Giugno 2014 - 14:26

Una petroliera battente bandiera del Kuwait, Al Salmi, è in navigazione verso il porto di Augusta dopo avere raccolto 356 migranti che erano stati soccorsi nel canale di Sicilia da un peschereccio. A bordo del cargo anche il cadavere di un siriano che sarebbe morto di stenti durante la traversata.

L’arrivo della Al Salmi in rada è previsto intorno alle 17. Subito dopo i profughi saranno trasbordati sulle motovedette della Capitaneria di Porto per essere trasferiti in banchina. La petroliera, che proseguirà la sua rotta verso Milazzo, è infatti troppo grande per attraccare nel porto di Augusta.

“Siamo partiti in 190 dalle coste della Libia. Eravamo a bordo di due gommoni. Un centinaio sono finiti in mare. Alcuni sono stati salvati dalle navi della marina. Ma di molti non abbiamo saputo più nulla”. Lo racconta Maxwell Yeboah che è originario del Ghana. E’ uno degli oltre 200 profughi arrivati ieri con la nave della marina militare Etna a Palermo e ospitati nella parrocchia di San Giovanni Maria Vianney nel quartiere Falsomiele, trasformata in poche ore in un centro d’accoglienza per i migranti.

I migranti hanno trovato un letto tra i saloni parrocchiali e la chiesa e sono assistiti da volontari e preti. “Ieri hanno voluto pregare tutti insieme – dice Marianna Greco, studentessa di Teologia che fa volontariato da dieci anni nella chiesa di San Giovanni di padre Sergio Mattaliano, direttore della Caritas di Palermo – È stato un momento molto intenso dove non c’erano più barriere religiose, culturali e sociale. Abbiamo pregato e ballato. Si è creato una bella atmosfera come una grande famiglia. Ancora non è stato precisato il numero dei dispersi dell’ultima tragedia nel mare di Sicilia. Non è ancora confermato se a naufragare sia stato uno o due gommoni. Nella chiesa di Falsomiele c’è uno dei profughi che ha perso il fratello. C’è chi ha dovuto dare allo scafista oltre che i soldi anche il telefonino”. “Me lo ha chiesto chi guidava la nave – racconta George Entwy anche lui Ghanese – Non me lo ha più dato. Sono fuggito dalla Libia senza più nulla perché l’unica cosa che voglio salvare è la mia vita. Mi è rimasta la mia vita”.

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