“Lombardo ha sollecitato i vertici di Cosa nostra” | Ecco perché l’ex governatore è stato condannato

di Redazione

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“Lombardo ha sollecitato i vertici di Cosa nostra” | Ecco perché l’ex governatore è stato condannato

| lunedì 25 Agosto 2014 - 14:51

Raffaele Lombardo ha “sollecitato, direttamente o indirettamente, i vertici di Cosa nostra a reperire voti per lui e per il partito per cui militava (le regionali in Sicilia del 2001 e nel 2008 e le provinciali a Enna nel 2003) ingenerando nei medesimi il convincimento sulla sua disponibilità a assecondare la consorteria mafiosa nel controllo di concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici”. Lo scrive il Gup di Catania Marina Rizza nelle motivazioni della sentenza del 19 febbraio con la quale, a conclusione di un processo col rito abbreviato condizionato, ha condannato l’ex presidente della Regione Siciliana a 6 anni e 8 mesi di reclusione per concorso esterno all’associazione mafiosa.

Sono state depositate, infatti, le motivazioni della sentenza di condanna. Il procedimento era nato da uno stralcio dell’inchiesta Iblis avviato su indagini dei carabinieri del Ros su rapporti tra mafia, imprenditori, politici e amministratori. Le motivazioni sono contenute in 325 pagine firmate dal Giudice per l’udienza preliminare Marina Rizza, che le ha depositate lo scorso 18 agosto.

Secondo il giudice, l’ex governatore avrebbe “determinato e rafforzato il proposito dei capi e dei partecipi della medesima associazione di acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o il controllo di attività economiche, concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici” e di “ostacolare l’esercizio del diritto di voto e di procurare voti per sé e per altri”. Per il Gup Rizza appare “provato” che Raffaele Lombardo abbia “contribuito sistematicamente e consapevolmente”, anche mediante “le relazioni derivanti dalla sua pregressa militanza in più partiti politici”, alle “attività e al raggiungimento degli scopi criminali dell’associazione mafiosa” per “il controllo di appalti e servizi pubblici”.

Il Gup ritiene che l’ex presidente della Regione con “la promessa di attivarsi in favore dell’associazione mafiosa nell’adozione di scelte politiche e amministrative abbia intenzionalmente ingenerato, mantenuto e rafforzato il diffuso convincimento sulla sua completa disponibilità alle esigenze della consorteria”.

Raffaele Lombardo costituiva “un ‘canale’ diretto” per la “‘famiglia’ catanese di Cosa nostra” permettendole di “consolidare la sua egemonia”, scrive il Gup Marina Rizza nelle motivazioni della sentenza del 19 febbraio. “Però il contributo più rilevante, concreto e effettivo prestato dal Lombardo all’associazione Santapaola-Ercolano” secondo il Giudice, “a ben vedere, consiste nella creazione” di un “complesso sistema organizzativo ed operativo di cui facevano parte, quali componenti parimenti necessari, gli imprenditori ‘amici’ e gli esponenti della ‘famiglia’, creando vantaggi di cui beneficiava anche l’associazione mafiosa”.

Il ‘modus operandi’, ritiene il Gup, era sempre lo stesso “acquistavano terreni agricoli nella prospettiva di ottenerne la variazione di destinazione urbanistica, e poi realizzare elevati guadagni con la plusvalenza” della proprietà. Il Giudice cita l’esempio di quattro casi: il piano di costruzione di alloggi per militari Usa di contrada Xirumi, non realizzato, e tre centri commerciali, dei quali uno solo è stato costruito. In questo ‘contesto’ il Gup Marina Rizza cita il caso di Mario Ciancio, editore e membro del consiglio di amministrazione dell’Ansa, estraneo al procedimento, indagato per concorso esterno all’associazione mafiosa, per il quale la Procura ha chiesto per due volte l’archiviazione. Il fascicolo è ancora pendente.

Nella sentenza il Gup rimanda alla Procura alcuni degli atti che l’ufficio diretto da Giovanni Salvi aveva allegato al processo Lombardo. Secondo il Giudice Rizza il progetto di due affari trattati anche dall’editore “annoverava tra i soci un soggetto vicino a Cosa nostra palermitana”. Il modus operandi e la presenza di elementi vicini alla mafia, osserva il Gup, fanno ritenere “con un elevato coefficiente di probabilità che lo stesso Ciancio fosse soggetto assai vicino al detto sodalizio” e in questo modo, scrive il Giudice, avrebbe quindi “apportato un contributo concreto, effettivo e duraturo alla ‘famiglia’ catanese”.

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