Mafia, maxi operazione nel Catanese: 16 arresti | Colpo ai clan Santapaola e Laudani /FT/VD

di Redazione

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Mafia, maxi operazione nel Catanese: 16 arresti | Colpo ai clan Santapaola e Laudani /FT/VD

| mercoledì 08 Aprile 2015 - 07:10

Sedici persone sono state arrestate dai carabinieri di Catania su richiesta della Direzione distrettuale antimafia (Dda) della locale Procura nel corso dell’operazione en plein. Gli arrestati sono ritenuti appartenenti a due gruppi mafiosi operanti nel territorio di Paternò e legati alle ‘famiglie’ Santapaola e Laudani.

I reati contestati, a vario titolo, sono associazione mafiosa, omicidio, tentato omicidio e possesso illegale di armi.

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Le indagini sono partite da due efferati fatti di sangue avvenuti nella provincia nell’estate del 2014, l’omicidio di Salvatore Leanza e il tentato omicidio di Antonino Giamblanco, che hanno consentito – spiega una nota – di delineare le dinamiche criminali che regolavano le condotte illecite dei citati sodalizi, ricostruendone le strutture e le modalità di gestione delle “casse comuni”, di scongiurare una escalation criminale per l’affermazione dell’egemonia sul territorio e sequestrare numerose armi e munizioni.

Leanza era un elemento dal passato criminale di notevole spessore che avrebbe scalato il vertice del gruppo legato alla cosca Santapaola. Alla sua ascesa si contrapponeva lo storico clan locale dei Morabito, vicino ai Laudani. L’escalation tra le due fazioni aveva poi portato all’agguato contro Antonino Giamblanco, uomo di fiducia di Leanza che il 30 luglio del 2014 sfuggi’ ai killer.

Salvatore Leanza, condannato per omicidio inizialmente all’ergastolo, aveva poi ottenuto la commutazione del carcere a vita in 30 anni di reclusione. Finita di scontare la pena, era tornato libero e nel 2013 era rientrato a Paternò. Il suo rientro, ipotizzarono subito carabinieri e Dda della Procura di Catania, avrebbe influito sugli equilibri criminali della zona.

Dell’agguato in cui fu ucciso Leanza e ferita la moglie dell’ex ergastolano è accusato, in qualità di mandante Alfio Rapisarda che, secondo la Dda della Procura di Catania, aveva un duplice movente: vendicare la morte del fratello Alfio, assassinato dalla vittima nel 1980, ed eliminare il capo di un gruppo criminale rivale.

Rapisarda, infatti, è indicato dai carabinieri come il boss del gruppo Morabito-Rapisarda, legato alla cosca Laudani, che era contrapposto al clan Alleruzzo-Assinnata collegato alla ‘famiglia’ Santapaola. Dopo l’agguato, hanno accertato militari dell’Arma, Rapisarda, temendo rappresaglie, non usciva più da casa, tanto da gestire la sua attività di titolare di un parcheggio dall’abitazione, senza andare a lavorare.

Il 15 luglio del 2014 è stato arrestato perché doveva scontare residuo pena di una condanna, e gli investigatori lo hanno intercettato nella sua cella del carcere di Bicocca. Quindici giorni dopo è scattato il secondo agguato, quello a Antonino Giamblanco, uomo di fiducia di Leanza: un gruppo di fuoco lo ha bloccato mentre era in auto, ma non è riuscito a centrarlo e l’uomo è riuscito a fuggire illeso.

Per questo tentato omicidio, sempre in qualità di mandante, è indagato Salvatore Rapisarda, in correo con il figlio Vincenzo Salvatore, e Francesco Peci. Quest’ultimo è stato arrestato dai carabinieri il 16 ottobre del 2014 perché trovato in possesso di numerose armi, compresa quella utilizzata nel tentativo di omicidio di Giamblanco.

Un altro arsenale, nel corso delle indagini, è stato sequestrato da militari dell’Arma in un ovile di Giuseppe Tilenni Scaglione, legato al gruppo Leanza. Dei due agguati si è autoaccusato, in qualità di esecutore materiale, Franco Musumarra, che dallo scorso anno sta collaborando con la magistratura e che ha contribuito con le sue dichiarazioni all’operazione ‘En plein’ della Dda di Catania, coordinata dal procuratore Giovanni Salvi.

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