Birmania, la rivoluzione di Aung San Suu kyi | I delicati rapporti con la Cina e il potere militare

di Giuseppe Citrolo

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Birmania, la rivoluzione di Aung San Suu kyi | I delicati rapporti con la Cina e il potere militare

| lunedì 16 Novembre 2015 - 15:46

Le prime elezioni democratiche della Birmania dopo la fine del regime militare nel 2011 hanno premiato La Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu kyi, 70 anni, celebre eroina della democrazia birmana. Ha inflitto una severa sconfitta al Partito dell’Unione, Solidarietà e Sviluppo guidato dall’attuale presidente Thein Sein, un ex generale vicino ai militari.

Aung San Suu kyi,incarna la storia della Birmania moderna: è figlia dell’eroe dell’indipendenza birmana dall’impero britannico sancita nel 1947; si allontana da Rangoon nel 1960 seguendo la madre, ambasciatrice in India, vive in vari paesi e poi si stabilisce in Inghilterra; sposa e madre, decide di ritornare in patria nel 1988.

Il paese è scosso da rivolte contro la dittatura militare; lei si unisce ai movimenti di rivolta e ne diventa uno dei leader. I militari sopprimono la rivolta nel sangue e disconoscono i risultati delle elezioni da lei vinte nell’anno successivo. Viene arrestata e passa 15 dei 20 anni successivi in prigione, agli arresti domiciliari o sottoposta a  restrizioni nei suoi spostamenti. La sua popolarità internazionale cresce, diventa un’icona vivente della resistenza non violenta e riceve il premio Nobel. Finalmente libera nel 2012, prosegue con determinazione la sua battaglia politica sino alla vittoria di pochi giorni fa.

I militari, pur legati al partito di Thein Sein, hanno riconosciuto la vittoria di Aung San e si dichiarano pronti a collaborare con il nuovo governo. “L’esercito farà del suo meglio, in cooperazione con il nuovo governo”, ha dichiarato il capo di stato maggiore Min Aung Hlaing in un discorso di fronte agli alti ufficiali delle forze armate, reso pubblico qualche giorno dopo. “La fiducia del pubblico può essere guadagnata” ha aggiunto Min Aung Hlaing facendo appello alla “obbedienza e disciplina” dei militari. I militari mantengono comunque  una forte influenza sulla politica birmana, hanno di diritto il 25 % dei seggi parlamentari e hanno il monopolio su alcune posizioni-chiave della struttura di potere del paese.

Il processo di apertura alla democrazia, iniziato da qualche anno, sembra comunque una via obbligata anche per il futuro: le sorti economiche della Birmania si sono risollevate proprio per questo, con il sostegno internazionale prima negato alla dittatura militare. La Birmania è ancora un paese molto povero, con un reddito medio di soli 1700 $ pro capite ed un tasso di disoccupazione di quasi il 40%. Ma il potenziale è notevole; pur avendo una base produttiva ancora legata all’agricoltura, le risorse naturali sono abbondanti – metalli, gemme e idrocarburi – e la popolazione è numerosa e giovane. Gasdotti di recente costruzione portano il gas birmano in Cina ed India; la francese Total è da qualche anno impegnata con le sue tecnologie per la produzione di petrolio e gas. Società cinesi, giapponesi, europee ed americane aprono uffici ed investono nel paese. La Birmania è povera di infrastrutture, ma è in costruzione una grande autostrada che collegherà Bangkok con l’India attraversando il territorio birmano. I capitali provenienti dall’estero spingono quindi la crescita nel paese a tassi superiori al 5% annuo, ma l’economia è in gran parte centralizzata e controllata dai militari. Questo è un freno allo sviluppo economico e alla diffusione del benessere: il nuovo Parlamento dovrà varare riforme in senso liberale, se vuole assicurare al paese una crescita economica diffusa e sostenibile. Una sfida agli interessi costituiti dei militari, che hanno dominato per oltre sessant’anni.

Sul fronte interno, i leader birmani dovranno affrontare il problema della coesione sociale: tensioni etniche e religiose piagano la società birmana. Il paese è in maggioranza buddhista e la minoranza musulmana soffre di discriminazioni sociali ed economiche. In anni recenti si sono moltiplicati  gravi episodi di violenza anti-musulmana in varie zone del paese, con uccisioni ed incendi di moschee, case e negozi. Decine di migliaia di musulmani si sono dovuti rifugiare nel vicino Bangladesh. Il locale clero buddhista ha spesso sobillato i fedeli contro i musulmani e porta una responsabilità morale per questo stato di tensione. La stessa Aung San, ben sapendo quanto poco popolari siano gli islamici nel paese, si  è rifiutata di condannare la violenza religiosa esplicitamente.

Nel nord del paese continua da decenni la ribellione dei Kachin, una minoranza etnica di fede prevalentemente cristiana protestante. Gli scontri hanno causato nel tempo migliaia di vittime; in centinaia di migliaia hanno abbandonato le loro case e vivono adesso in squallidi campi profughi nella vicina provincia meridionale cinese dello Yunnan. Il conflitto ha origine ai tempi dell’indipendenza della Birmania e si trasforma in una vera e propria guerra quando la regione proclama la propria indipenedenza nel 1960. Nel 1994 un armistizio inizia un lungo interludio di relative quiete sino al 2011, quando un attacco da parte dell’esercito di Rangoon riaccende le ostilità; tra alti e bassi, queste sono ancora oggi in corso.

In politica estera la priorità sarà riparare le relazioni, difficili negli ultimi anni, con il potente vicino cinese. La Cina, principale alleato e partner economico del paese nel periodo della dittatura militare, è ora percepita negativamente da molti. Questo a causa del comportamento privo di scrupoli degli uomini d’affari cinesi, accusati di corrompere le gerarchie militari e saccheggiare le risorse naturali del paese  senza ritorni tangibili per l’economia locale. Al contrario, i rapporti della Birmania con Europa, Stati Uniti e Giappone sono rifioriti negli ultimi anni. Nel 2011 è iniziato il processo di riforma politica voluto dal presidente Thien Sein e sono state gradualmente tolte le sanzioni economiche occidentali contro il paese. L’amministrazione Obama vede questo paese non solo come un mercato emergente molto promettente, ma anche come una nazione da arruolare nella strategia anti-cinese ‘pivot to Asia’, volta a bilanciare lo strapotere e l’espansione cinese nel sud est asiatico. Obama ha visitato Rangoon nel corso del suo tour asiatico del 2011 e il presidente birmano Thien Sein è stato accolto calorosamente a Washington nel 2013, prima visita di un leader birmano dal 1966.

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