Caso “Costa Concordia”, la sentenza d’Appello | “Schettino abbandonò la nave con gente a bordo”

di Redazione

» Cronaca » Caso “Costa Concordia”, la sentenza d’Appello | “Schettino abbandonò la nave con gente a bordo”

Caso “Costa Concordia”, la sentenza d’Appello | “Schettino abbandonò la nave con gente a bordo”

| martedì 30 Agosto 2016 - 17:08

Secondo la Corte d’Appello di Firenze, quando Francesco Schettino, il comandante della Costa Concordia, “saltò su una lancia, era consapevole che diverse persone si trovavano sul lato sinistro della nave o quanto meno aveva seri dubbi in tal senso e decideva in ogni caso di allontanarsi in modo definitivo dalla Concordia”.

Lo si legge nelle motivazioni della Corte d’Appello che il 31 maggio ha condannato l’ex comandante della Concordia a 16 anni di carcere per il naufragio avvenuto il 13 gennaio 2012: “Non è in alcun modo attendibile quanto riferito dall’imputato Schettino durante l’esame dibattimentale in merito al fatto che, nel momento in cui saltava sul tetto di una lancia, egli non si era reso conto che vi erano persone ancora a bordo”.

Secondo i magistrati, in quel “preciso momento, Schettino era consapevole che diverse persone si trovavano ancora sul lato sinistro della nave o che, comunque, quantomeno aveva seri dubbi in tal senso e decideva in ogni caso di allontanarsi in modo definitivo dalla Concordia. Per di più l’imputato scendeva saltando dal tetto della lancia prima di alcuni altri ufficiali nonché del K2 Bosio che raggiungeva la scogliera a nuoto”.

“Dopo aver mentito al sottocapo Tosi continuava a raccontare il falso anche a De Falco”, mentre “era già in salvo da diversi minuti”. “L’intenzione di Schettino – secondo il tribunale – non era quella di attenersi alla nuova rotta tracciata dal cartografo Canessa per l’inchino al Giglio, bensì quella di passare più vicino all’isola seguendo una sua rotta che non era stata comunicata ad alcuno”.

I giudici spiegano che “la rotta che Schettino intendeva seguire non era quella tracciata dall’ufficiale cartografo Simone Canessa, il quale è risultato attendibile, ma quella ben più prossima all’isola del Giglio, non segnata sulla carta né inserita nel computer di bordo, che egli effettivamente seguiva fino a impattare il basso fondale“.

“È eloquente la telefonata col comandante in pensione Mario Palombo dove Schettino si informava se c’era acqua alta sufficiente” al passaggio della nave “in un punto a una distanza inferiore a quella (mezzo miglio) dove sarebbe dovuta passare la nave secondo la rotta tracciata da Canessa”.

“Dal colloquio – commentano i giudici – si desume invece la chiara intenzione di Schettino di avvicinarsi maggiormente all’isola discostandosi dalla rotta predetta”. Inoltre, “è palese anche dagli ordini dei gradi di rotta dati dall’imputato che lo stesso non teneva in alcun modo conto di quella tracciata da Canessa“.

“Schettino non può fondatamente assumere di non rispondere delle sue azioni – dicono i giudici – perché sostanzialmente gli ufficiali a lui subordinati, presenti in plancia, non lo avevano informato e non gli avevano segnalato la pericolosità della sua condotta caratterizzata da numerose e precise regole generiche e specifiche di corretta navigazione”.

Si legge quindi nella sentenza che le prove “inducono a ritenere che Schettino in realtà non era affatto ‘ignaro’ della rotta e della posizione della nave quando assumeva il comando della manovra”. “Non si comprende come Schettino, al vertice della catena di comando, possa in questa sede pretendere di andare esente da responsabilità per le sue numerose condotte colpose, commissive e omissive, che hanno portato la nave al naufragio solo perché profili di colpa concorrente (di gravita’ molto minore) sono stati ravvisati anche nelle condotte dei suoi sottoposto in plancia”.

Edizioni Si24 s.r.l.
Aut. del tribunale di Palermo n.20 del 27/11/2013
Direttore responsabile: Maria Pia Ferlazzo
Editore: Edizioni Si24 s.r.l.
P.I. n. 06398130820