Milano, permessi di soggiorno in cambio di soldi | In manette 4 poliziotti dell’ufficio immigrazione

di Redazione

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Milano, permessi di soggiorno in cambio di soldi | In manette 4 poliziotti dell’ufficio immigrazione

| martedì 28 Novembre 2017 - 15:45

Gli investigatori della squadra mobile di Milano hanno tratto in arresto quattro agenti di polizia dell’ufficio immigrazione nell’ambito di una indagine relativa ad un giro di permessi di soggiorno rilasciati dietro compensi. Tutti sono finiti in carcere con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata all’illecito rilascio di permessi di soggiorno, oltre a falso in atto pubblico e accesso abusivo a sistemi informatici.

Oltre ai quattro agenti (due erano in servizio all’ufficio Immigrazione della Questura e due in quelli dei commissariati di Porta Genova e Lorenteggio), altri due poliziotti sono stati posti agli arresti domiciliari, e un altro ancora, che all’epoca era in servizio a Milano mentre ora lavora a Napoli, è stato sospeso dal servizio per 12 mesi. Un cittadino italiano, infine, è stato sottoposto all’obbligo di firma.

In manette sono finiti anche due ristoratori cinesi e un nordafricano. I tre avevano il ruolo di intermediari e procacciatori di “clienti”. Il tariffario oscillava da poche centinaia ad alcune migliaia di euro, a seconda della difficoltà nel procurare il documento. Per lo più si trattava di permessi di soggiorno.

È emerso che gli agenti coinvolti si lamentavano dei controlli stringenti iniziati con l’arrivo della nuova dirigente dell’immigrazione: “Gli agenti hanno fra i 40 e i 50 anni, sono operatori esperti nel campo dell’immigrazione. Di fronte all’aumento dei controlli interni hanno iniziato ad appoggiarsi a colleghi in distaccamenti dell’ufficio all’interno dei commissariati. I casi scoperti sono sicuramente superiori al centinaio”.

Nell’ambito dell’inchiesta è stata sequestrata una villa del ‘700 in provincia di Milano del valore di 690mila euro, intestata alla moglie di un poliziotto. Per i permessi di soggiorno il gruppo avrebbe intascato dai 500 ai 5.000 euro. I poliziotti avrebbero usato “canali di comunicazione a circuito interno”, tra cui “numerose utenze di copertura, le cosiddette ‘citofono’ intestate a cittadini extracomunitari e sistemi di messaggistica telematica tipo WhatsApp e Telegram”.

 

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