Yara, ma è stato davvero Bossetti a uccidere? | Per il Gip “potrebbe reiterare il reato”

di Maria Teresa Camarda

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Yara, ma è stato davvero Bossetti a uccidere? | Per il Gip “potrebbe reiterare il reato”

| venerdì 20 Giugno 2014 - 07:54

Il gip di Bergamo ha deciso che Massimo Giuseppe Bossetti, accusato dell’omicidio di Yara Gambirasio, deve rimanere in carcere, pur non convalidando il fermo dell’uomo. Lo ha spiegato il legale di Bossetti, Silvia Gazzetti. Il gip ha disposto la misura cautelare in carcere per Bossetti, ritenendo evidentemente sussistenti gli indizi di colpevolezza, ma non ha convalidato il provvedimento di fermo, giudicando che non esiste il pericolo di fuga su cui era basato.

Nel disporre il carcere, il gip precisa nell’ordinanza che “il fermo non era stato legittimamente disposto, poiché dagli atti non si evince alcun elemento concreto e specifico dal quale desumere il pericolo di fuga”, ma gravi indizi di colpevolezza e una “personalità capace di azione di tale ferocia” giustificano la sua permanenza in carcere.

Bossetti, dunque, rimane in carcere, mentre all’esterno la sua famiglia va in pezzi. La scoperta, confermata dal test del Dna, ha dimostrato che Massimo Giuseppe non è figlio di Giovanni Bossetti, ma di Giuseppe Guerinoni, l’autista di autobus di Gorno morto nel 1999 che negli anni ’60 aveva avuto una relazione clandestina con la madre di Bossetti. Proprio grazie alla “pista Gorno”, gli inquirenti sono riusciti a risalire al presunto omicida di Yara, la tredicenne di Brembate di sopra, in provincia di Bergamo.

Una rivelazione che pare abbia gettato in un terribile sconforto l’indagato, che non aveva idea di essere cresciuto con un uomo che non era realmente suo padre. In un’intervista al Corriere della Sera, nonostante le evidenze scientifiche dei test, la madre di Bossetti però smentisce tutto e dichiara che Bossetti “è figlio suo e di suo marito” e di non essere mai stata con Guerinoni.

I Ris di Parma sono entrati in casa Bossetti a Mapello. Gli uomini del reparto investigazioni scientifiche, per la prima volta sul luogo, sono stati accompagnati dal maresciallo Marco Abrate, comandante della stazione dei carabinieri di Ponte San Pietro e dai suoi uomini che hanno bloccato entrambi gli ingressi alla due stradine del paese che portano alla casa di Massimo Giuseppe.

Intanto proprio sulle vicende familiari dei Bossetti, il garante della privacy ha bacchettato quelle testate giornalistiche che hanno diffuso “informazioni e particolari, anche di natura sensibile e addirittura genetica, inerenti soggetti interessati soltanto indirettamente e marginalmente da vicende giudiziarie che hanno avuto una notevole eco nell’opinione pubblica”. L’Autorità – fa sapere una nota – “ritiene assolutamente necessario richiamare tutti i mezzi di informazione al massimo rispetto del principio di essenzialità della notizia pubblicata – uno dei cardini del Codice della privacy e dello stesso Codice deontologico dei giornalisti – che comporta un’attenta, accurata e seria verifica preventiva riguardo alla reale indispensabilità della diffusione di dati personali relativi a soggetti coinvolti solo in via mediata dalle vicende di cronaca. Neppure il rilevante interesse pubblico legittima l’accanimento informativo intorno agli aspetti più intimi della persona tale da determinare irreparabili danni nella vita familiare e di relazione”.

E sulla colpevolezza o meno del presunto omicida, Bossetti, si comincia a discutere. Troppo improvvisa la svolta nelle indagini, troppo scientifica la spiegazione degli indizi. E soprattutto: nessuna confessione. Si aspetteranno i processi – in Italia vale sempre il principio di presunzione di non colpevolezza – e sarà la magistratura con il suo percorso a decidere se Massimo Giuseppe Bossetti è realmente l’assassino della giovane di Brembate. Ma per tutti lui è già un mostro.

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