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Trattativa Stato-mafia. Pisanu: “Convergenze di interessi e i misteri delle stragi”

ROMA, 9 GENNAIO 2013 – Non ci fu una vera e propria trattativa con la mafia che coinvolse i massimi vertici dello Stato ma una sorta di convergenza fra i loro interessi. Lo afferma il presidente della Commissione parlamentare antimafia, Giuseppe Pisanu.

 

 

“I vertici istituzionali e politici del tempo, dal Presidente della Repubblica Scalfaro ai Presidenti del Consiglio Amato e Ciampi, hanno sempre affermato di non aver mai neppure sentito parlare di trattativa. Penso che non possiamo mettere in dubbio la loro parola e la loro fedeltà a Costituzione e a Stato di diritto” afferma Pisanu nella sua relazione finale sulle stragi e la presunta trattativa Stato-mafia.

 

“I carabinieri e Vito Ciancimino – prosegue la sua relazione – hanno cercato di imbastire una specie di trattativa; cosa nostra li ha incoraggiati, ma senza abbandonare la linea stragista”, mentre “lo Stato, in quanto tale, ossia nei suoi organi decisionali, non ha interloquito e ha risposto energicamente all’offensiva terroristico-criminale”. “Ci furono tra le due parti convergenze tattiche, ma strategie divergenti – sottolinea – i carabinieri del Ros volevano far cessare le stragi, i mafiosi volevano svilupparle fino a piegare lo Stato”. “Inoltre va detto che nessuno dei vertici istituzionali del tempo ha mai pensato di apporre il segreto di Stato su quelle vicende”.

Ma nella sua relazione Pisanu non assolve pienamente alcuni politici: “Rimane il sospetto che dopo l’uccisione dell’onorevole Lima, uomini politici siciliani, minacciati di morte, si siano attivati per indurre Cosa nostra a desistere dai suoi propositi in cambio di concessioni da parte dello Stato. In particolare l’onorevole Mannino avrebbe preso contatti a tal fine con il comandante del Ros, generale Subranni. Sull’onorevole Mannino – sottolinea Pisanu – pende ora una richiesta di rinvio a giudizio per il reato aggravato di minaccia ad un corpo politico, amministrativo e giudiziario. Analoga richiesta, ma per un periodo diverso, pende sul senatore Marcello Dell’Utri”.

Pisanu cita anche l’ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino: “Fu indicato, per sentito dire, dal pentito Brusca e da Massimo Ciancimino come il terminale politico della trattativa”. Dichiarazioni contradditorie, scrive il presidente dell’Antimafia, ma Mancino “Audito dalla nostra commissione è apparso a tratti esitante e persino contraddittorio. La Procura di Palermo ne ha proposto il rinvio a giudizio per falsa testimonianza. Le posizioni degli ex ministri Mannino e Mancino sono ancora tutte da definire in sede giudiziaria: una semplice richiesta di rinvio a giudizio non può dare corpo alle ombre”.

“Formalmente – continua la relazione – la trattativa si concluse nel dicembre 1992 con l’arresto di Vito Ciancimino. Un mese dopo, il 15 gennaio 1993, fu arrestato il capo dei capi Totò Riina. Se i due arresti fossero riconducibili in qualche modo alla trattativa, quale sarebbe stata la contropartita di Cosa nostra? La mancata perquisizione del covo di Riina – si chiede Pisanu – e la garanzia di una tranquilla latitanza di Provenzano che, proprio per questo e per prenderne il posto, avrebbe venduto il suo capo? E alla fin fine, quale sarebbe stato il guadagno dell’astuto mediatore Vito Ciancimino?”.

“Allo stato attuale della nostra inchiesta – continua – non abbiamo elementi per dare risposte plausibili”. Ma Pisanu immagina anche che l’obbiettivo non era solo l’abolizione del 41bis: “Ma il ripristino di quel regime di convivenza tra mafia e Stato che si era interrotto negli anni ’80, dando luogo ad una controffensiva della magistratura, delle forze dell’ordine e della società civile che non aveva precedenti nella storia”.

“Certo – dice Pisanu – l’obiettivo era ambizioso, ma il momento era propizio per la mafia e per tutti i nemici dello Stato democratico. Per quanto risulta dalla nostra inchiesta le trattative cessarono sul finire del 1993 e le stragi nel gennaio del 1994, – spiega – con il fallimento dell’attentato allo stadio Olimpico e con l’arresto, quattro giorni dopo, dei fratelli Graviano, capi militari dell’ala stragista. A quel punto Cosa nostra aveva perso la partita su entrambi i fronti”.

Su Capaci e via D’Amelio, Pisanu non ha dubbi: “Sulle scene degli attentati e delle stragi – sottolinea Pisanu – abbiamo visto comparire, qua e là, figure rimaste sconosciute, presenze esterne: da dove venivano? Gruppi politico-terroristici come ‘Falange armata’ rivendicarono tempestivamente degli attentati di Cosa nostra: come si spiega? Solo negli ultimi anni – nota Pisanu – è stato scoperto il gigantesco depistaggio delle indagini su via D’Amelio, depistaggio che ha lungamente resistito al tempo e ha ben due processi: chi lo organizzò? E perchè furono lasciati cadere i sospetti che pure emersero fin dagli inizi? Potrei continuare con domande analoghe -conclude Pisanu- ma queste mi bastano per dire che, a conclusione della nostra inchiesta, non si sono ancora dissipate molte delle ombre che avevo già intravisto nelle mie comunicazioni alla Commissione del 30 giugno 2010”.

Per Pisanu la fase della mafia militare è finita, lo Stato più forte ma, avverte: “Ciò non vuol dire che Cosa nostra è finita, tutt’altro. E’ vero: le sue armi tacciono. Ma essa è penetrata nelle fibre della realtà siciliana e lì continua ad agire in profondità distorcendo le regole dell’economia, le relazioni sociali e le decisioni politiche”.

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Si24 è un quotidiano online di cronaca, analisi, opinione e approfondimento, fondato nel 2013 e con sede a Palermo. Il direttore responsabile ed editore è Maria Pia Ferlazzo.

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