10 luglio ’43: il ragazzino di Licata e il pilota inglese, la bimba di Gela e il soldato del cioccolato

di Redazione

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10 luglio ’43: il ragazzino di Licata e il pilota inglese, la bimba di Gela e il soldato del cioccolato

| mercoledì 10 Luglio 2013 - 11:09

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PALERMO, 10 LUGLIO 2013 – È il 10 luglio del 1943, Licata, un ragazzino undicenne magro dagli occhi nocciola si affaccia alla finestra e guarda verso il faro. “Il mare non si vedeva più, c’erano solo navi militari”.

 

Nello stesso momento a Gela una bimba paffutella di otto anni, grandi occhi verdi, esce dalla casetta di campagna dove la famiglia si è rifugiata dopo l’ultimo bombardamento e guarda il mare: “Non si vedeva più l’acqua, tutto era coperto di navi fino all’orizzonte”. Lo sbarco, come anche quella guerra, agli occhi dei bambini diventa un racconto più fascinoso che tragico, fra un film e una fiaba. Ma il fotogramma del “mare scomparso” è lo stesso, identico, nel ricordo di tutti quelli che erano lì quella mattina.

La bimba con gli occhi verdi lo sbarco lo ricorda anche come risate e scampagnate. Una bomba inesplosa cade a Gela in piazza Salandra, a due passi da via Rossini dove abita con la famiglia. È il momento di andare in campagna, prima nella casetta di Caposoprano, poi a Macchitella, ancora più lontano dalla “città”. Niente scuola, campagna e mare, tutti insieme con zie e cugini. E quella bomba diventa quasi un regalo d’estate.

 

Lo sbarco, navi a parte, è la scena comica della mamma. Professoressa di latino e greco al Liceo Classico, infatuazione per il Duce, fascista o almeno coinvolta dal personaggio ma sposata con il preside del liceo, antifascista, unica perdita di punteggio a scuola maturata per le sue assenze alle “oceaniche adunate”. La mamma, quella mattina del 10 luglio apre la porta e si trova davanti un soldato. Non solo americano ma pure “nero”.

 

Rientra a casa e dice d’un fiato “siamo prigionieri”, e sviene suscitando l’ilarità di grandi e piccini. La bimba, di quel soldato un po’ troppo abbronzato, invece, ricorda la tavoletta di cioccolato dal sapore tanto diverso dal surrogato che girava da tempo e che le aveva quasi tolto il gusto di scassinare gli stipetti del salotto dove mamma nascondeva i dolciumi alla sua innata golosità.

“La guerra da noi è durata poco”, raccontavano le zie della piccola con gli occhi verdi che poi sposò il ragazzino di Licata con gli occhi nocciola. Quel 10 luglio per loro fu così, una specie di cartone animato. Ma il bimbo magro, dopo lo sbarco, continuava a pensare a qualche mese prima. Sul corso principale di Licata, uno stretto budello, un aereo inglese volava radente. Lui istintivamente salutò il pilota con la manina.

 

Il pilota rispose al saluto dalla carlinga, lo superò e iniziò a scaricare il suo mitragliatore sui passanti, risparmiandolo. Per quel pilota non posso che provare gratitudine, visto che se avesse deciso diversamente io non sarei mai nato. E solo adesso capisco perché quel piccolo ragazzino magro con gli occhi nocciola, diventato padre, mi insegnò quasi per gioco a salutare con la manina gli aerei e gli elicotteri che vedevo in cielo.

 

(Immagine: lo sbarco a Gela di Robert Capa)

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