Dalla Magione a via D’Amelio: la vita di Borsellino

di Redazione

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Dalla Magione a via D’Amelio: la vita di Borsellino

| giovedì 18 Luglio 2013 - 17:34

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PALERMO, 19 LUGLIO 2013 – Il suo primo ingresso a Palazzo di Giustizia, Paolo Borsellino lo fece da indagato. In pieno autunno caldo, da universitario, rimase coinvolto negli scontri fra studenti di destra e di sinistra.

 

Si trovò di fronte il magistrato Cesare Terranova, che il 25 settembre del 1979 sarà ucciso su ordine di Luciano Liggio. Il giovane studente di Giurisprudenza Borsellino Paolo, classe 1940, nato alla Magione come Giovanni Falcone e Tommaso Buscetta, riesce a convincere colui che diventerà capo dell’ufficio istruzione della Procura di Palermo. Terranova decide che Borsellino è “estraneo ai fatti”.

 

Entra in magistratura nel 1963, il più giovane magistrato d’Italia. Nel 1965 è assegnato alla sezione civile del tribunale di Enna, pretore a Mazara del Vallo e Monreale, suo collaboratore il capitano dei Carabinieri Emanuele Basile che verrà ucciso dalla mafia. Il 14 luglio 1975 entra a far parte dell’ufficio istruzione affari penali del Tribunale di Palermo, guidato dal giudice Rocco Chinnici.

Inizia da quel punto la storia del magistrato antimafia Paolo Borsellino ma dai nomi che scorrono già nelle “prime righe” della sua vita sembra che Paolo non avesse potuto fare altro nella vita. Vide nascere il pool antimafia, nel 1980 dopo l’uccisione di Basile, una delle intuizioni più efficaci nella lotta a Cosa nostra insieme a quelle sulle indagini e le confische patrimoniali. Giuseppe Di Lello raccontò che Borsellino e Giovanni Falcone acquisirono in modo automatico la leadership del pool: memoria infallibile, metodo impeccabile, capacità di lavorare a ritmi assolutamente fuori dal normale.

 

Ma le difficoltà non mancano, comprese le resistenze della politica alla richiesta di nuove leggi e nuovi strumenti per combattere la mafia. Qualcosa cambia nel 1982 con l’uccisione di Pio La Torre. Arriva il superprefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa ma non le leggi contro la mafia. Dalla Chiesa viene ucciso 100 giorni dopo e solo per questo arriva la legge Rognoni-La Torre sulla confisca dei beni mafiosi.

 

Meno di un anno e la prima bomba della mafia esplode a Palermo, in via Pipitone Federico, uccidendo il capo del pool, Rocco Chinnici. Arriva da Firenze Antonino Caponnetto. L’anno dopo viene arrestato ed estradato dal Brasile Tommaso Buscetta. I tre ragazzi della Kalsa si trovano di nuovo l’uno di fronte all’altro e si rispettano. I due “sbirri” e il “mafioso” si rispettano ma restano tutti saldamente nella parte di campo scelta nella loro vita.

Nasce l’immane impalcatura del primo maxiprocesso contro la mafia, un lavoro immenso che rimane la prova tangibile delle capacità di due uomini fuori dal comune. Bravissimi magistrati ma anche uomini di Stato senza momenti di dubbio sul continuare ad esserlo. Proprio l’intuizione investigativa porta Borsellino a chiedere il trasferimento a Marsala, diventa Procuratore della Repubblica.

 

Aveva capito che i Corleonesi si stavano espandendo in quei territori, forse anche che il pool antimafia era tornato sotto tiro non solo da parte della mafia che non avrebbe mai perdonato eventuali condanne definitive al maxiprocesso. Come accadrà a Falcone, quando andrà a Roma, anche Borsellino fu accusato di carrierismo e “professionismo dell’antimafia”, anche da Leonardo Sciascia.

 

Alla fine degli anni Ottanta Caponnetto lascia il pool per motivi di salute e scoppiano nuovi “veleni” per la sua successione. Falcone fu escluso dal Csm, Borsellino rischia provvedimenti disciplinari per la forte opposizione alla scelta di Antonino Meli ma riuscì ad ottenere dall’allora presidente della Repubblica, Francesco Cossiga che si mandassero gli ispettori al Palazzo di Giustizia di Palermo.

 

Il suo amico e collega Falcone va a Roma a disegnare il progetto della “Superprocura” nazionale antimafia. I due magistrati avevano compreso che Cosa nostra era già “emigrata” al Nord, non era certo solo a Corleone. Borsellino torna in Procura a Palermo come aggiunto nel 1991. La mafia ha già iniziato il suo conto alla rovescia. Poi l’esplosione in autostrada, “mi resta poco tempo”, è il commento di Paolo Borsellino.

 

Martelli gli offre il vertice della Superprocura e lui si dimostra l’uomo che è stato per tutta la vita. Umberto Lucentini cita la sua risposta per iscritto al Guardasigilli: “La scomparsa di Giovanni Falcone mi ha reso destinatario di un dolore che mi impedisce di rendermi beneficiario di effetti comunque riconducibili a tale luttuoso evento”.

 

Domenica 19 luglio 1992 pranza nel villino di Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Lucia e Manfredi, Fiammetta era in viaggio all’estero. Poi va a “riposare”, ma in realtà troveranno il portacenere in camera da letto pieno di cicche di sigarette. Arrivano le auto di scorta con gli agenti Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina e Antonino Vullo.

 

Alle 16,58 Paolo Borsellino suona al citofono della casa della madre in via D’Amelio. Una Fiat 126 imbottita di tritolo devasta tutto. Resta vivo solo l’agente Vullo che stava spostando l’auto staffetta per metterla in posizione “di uscita”. “È finito tutto”, dirà al microfono della Rai Antonino Caponnetto in lacrime.

 

“Sorrideva sotto i baffi anneriti”, racconterà ai familiari Lucia che con coraggio entrerà in obitorio a vedere il padre per l’ultima volta e l’indomani andrà in Università a fare il proprio dovere come le aveva insegnato papà Paolo.

 

 

(nella foto, Paolo Borsellino il giorno della sua prima comunione)

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