Tra armi chimiche e possibili attacchi: ecco cosa rischia la “portaerei Sicilia” nel teatro di guerra della crisi siriana

di Redazione

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Tra armi chimiche e possibili attacchi: ecco cosa rischia la “portaerei Sicilia” nel teatro di guerra della crisi siriana

| mercoledì 28 Agosto 2013 - 14:21

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PALERMO, 29 AGOSTO 2013 – Il mondo sull’orlo della terza guerra mondiale, questa la previsione apocalittica dell’analista americano Kevin Barrett su un eventuale intervento Usa in Siria. Ma anche senza spingersi così avanti, per l’Italia il coinvolgimento nella questione siriana è affare spinoso e per la Sicilia persino questione indipendente dalle decisioni di Roma. 

 

I militari italiani sono impegnati su vari fronti, dal Kosovo a Libia, Libano ed Afghanistan. Improbabile, quindi, che altre truppe terrestri vengano inviate in Medio Oriente, questione diversa quella che riguarda le basi militari. Proprio qui la Sicilia gioca un ruolo primario: oltre all’aeroporto di Trapani Birgi, base dell’Aeronautica Italiana, in Sicilia esiste soprattutto Sigonella, la base della Nato considerata come fondamentale per tutte le operazioni condotte dagli Stati Uniti e dall’Alleanza Atlantica nel Mediterraneo e quindi, anche nel Medio Oriente. Sito che di recente è stato anche scelto come base degli aerei senza pilota, i “droni” e che dal 2017 diventerà il fulcro del sistema globale della difesa Nato.

 

La Sicilia, così,  è l’ultima linea italiana, l’ultimo avamposto europeo prima del caos che sta scoppiando in Siria. Certo, in Grecia esistono tra le 20 e le 30 basi Usa, ma la nostra regione è considerata come una “casa” per gli statunitensi che in un momento storico non molto lontano, volevano farne la cinquantunesima stella. O forse è semplicemente più comodo chiedere l’apporto di una regione che ancora è in debito, economico e non, per la liberazione dagli invasori nella seconda guerra mondiale.

 

Un mese fa gli Stati Uniti distaccarono una parte delle forze d’intervento rapido per il Mediterraneo proprio nella base siciliana e il tutto fu bollato dalla Casa Bianca come conseguenza di una scelta di “politica interna”. Inoltre, dallo scorso maggio per tutta l’estate, la Sicilia fu utilizzata come scenario per la “War Game” americana del team di Marines della Special-Purpose MAGTF CR. Una forza speciale che giunge nell’isola per “fornire supporto logistico globale ai comandi americani Eucom, Centcom, Africom ed alle unità della Quinta e Sesta flotta degli Stati Uniti, nonché alle forze della NATO nel Mediterraneo. In linea con questo impegno, e secondo le modalità previste dagli accordi bilaterali con il governo italiano, la base continua a supportare la presenza di unità permanenti e temporanee schierate al suo interno”, si legge in una nota ufficiale della Stazione Aeronavale della Marina Usa di Sigonella.

 

Curioso che tutto ciò sia accaduto qualche settimana prima del periodo di chiusura delle ambasciate e dei consolati americani in Medio Oriente. Non è difficile collegare le due scelte come movimenti previsti da una sola strategia, quella di intervenire rapidamente per aumentare, se necessario, il livello di protezione delle ambasciate americane presenti in Nord Africa e nell’Africa Occidentale, come ammesso dallo stesso comunicato ufficiale americano.

 

Alcuni dati sono comunque certi: già nella prima guerra del Golfo del 1991, tutti gli aeroporti siciliani furono coinvolti nel movimento truppe della Nato, tanto che la sera di domenica 17 febbraio di quell’anno a Punta Raisi un bombardiere B-52 diretto in Kuwait, fu costretto a un atterraggio d’emergenza dopo avere scaricato il suo carico di bombe nel mare di fronte Palermo. Ben più recente, il blocco dei voli civili su Trapani Birgi durante la crisi libica del 2011. Episodi emblematici del fatto che al di là della partecipazione diretta dell’Italia, tutti gli scali aerei siciliani, compresi Lampedusa e Pantelleria, potranno essere utilizzati per la logistica delle forze armate statunitensi.

 

La Sicilia, dunque, per la sua importanza strategica si riscopre possibile obiettivo di ritorsioni terroristiche. In un momento nel quale le armi chimiche sono molto più facili da utilizzare anche per i terroristi. Le ritorsioni, dunque, potrebbero essere ben più serie dei due missili Scud che Gheddafi lanciò verso la base Loran di Lampedusa, il 15 aprile 1986. Quella base che ospitava l’embrione del sistema radar Muos di Niscemi, poi abbandonata e diventata centro di accoglienza per i migranti nel 2011, per poi finire parzialmente incendiata durante una rivolta di extracomunitari. 

 

L’altro spettro che incombe sull’Isola è proprio questo. Se non saranno le servitù militari a porre la Sicilia al centro della questione siriana, lo saranno sicuramente i milioni di profughi in fuga dalla guerra previsti in caso di conflitto.

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