Categorie: Cronaca

Trattativa Stato-mafia, Sabella: “La mafia voleva la revisione del Maxi processo e Borsellino era l’ostacolo”

PALERMO, 26 SETTEMBRE 2013 – Fu sostituto procuratore nel pool antimafia guidato da Gian Carlo Caselli, oggi Alfonso Sabella lavora a Roma al Dap. In concomitanza con la terza udienza del processo per la “Trattativa” Stato-Mafia, il magistrato, che durante il suo periodo palermitano ha partecipato attivamente alla cattura di boss del calibro di Giovanni ed Enzo Brusca, Nino Mangano, Leoluca Bagarella, Pietro Aglieri, Nino Mangano, Vito Vitale, Mico Farinella, Cosimo Lo Nigro, Carlo Greco e Pasquale Cuntrera – solo per citarne alcuni; – ha rilasciato una lunga intervista a Si24 in cui parla della mafia e di come potrebbe essere fondata l’ipotesi di una trattativa che ha portato alla morte di Paolo Borsellino.

 

Dottor Sabella, nel suo libro “Cacciatore di mafiosi”, edito da Mondadori nel 2008, lei già esprimeva perplessità riguardo la sentenza della Cassazione sulla strage di via D’Amelio che ha condannato dei soggetti poi risultati estranei dalle nuove indagini della Procura di Caltanissetta. Quali elementi la condussero a questa profezia?

Precisiamo che non sono Nostradamus e nemmeno Cassandra anche se gli eventi che, anche attualmente, si verificano mi portano talvolta a pensare di essere come la mitica figlia di Priamo, destinata a non essere mai creduta. La mia non era una profezia ma una semplice ricostruzione logica.

Nel mio libro, infatti, avevo anche scritto che la responsabilità per l’esecuzione materiale della strage doveva essere ricercata all’interno del gruppo di fuoco di Brancaccio di cui, appunto, faceva parte Spatuzza che avrebbe poi confessato la sua partecipazione all’eccidio.
La strage di via d’Amelio era oggettivamente diversa da quella di Capaci e presentava – e piuttosto palesemente – motivazioni che non potevano essere solo mafiose. Riina, dunque, poteva affidarne l’esecuzione solo a un suo fedelissimo e non certo a Pietro Aglieri che era invece uomo di Provenzano e che veniva accusato da tale Vincenzo Scarantino sulla cui attendibilità avevo serie riserve tanto che non lo avevo processato nemmeno per gli omicidi che mi confessava. Con i Madonia in carcere, con un Brusca tentennante e ritenuto non molto affidabile, con un Salvatore Biondino che non disponeva di un gruppo di fuoco attrezzato, l’unico uomo di Riina che, in quel momento, aveva la capacità militare per eseguire quella strage era Giuseppe Graviano da Brancaccio; e non mi sbagliavo.

 

Secondo i suoi colleghi di Caltanissetta, quella strage sarebbe scaturita dall’opposizione di Paolo Borsellino alla “Trattativa” Stato-mafia. Qual è la sua opinione in merito?

Qualche anno prima che venisse fuori la copia del papello, avevo detto pubblicamente in più occasioni che al primo punto delle richieste di Riina allo Stato ci doveva essere la revisione del Maxi processo.
Anche in questo caso non profetizzavo nulla. Conoscendo i mafiosi e sapendo quanto siano privi di qualsivoglia forma di etica, ritenevo che il primo obiettivo di Riina fosse quello di evitare, per sé, l’ergastolo inflittogli al Maxi. Conseguentemente una delle possibili ragioni della strana strage di via D’Amelio può ben essere quella, per utilizzare le stesse parole di Salvatore Riina, di “prendere due piccioni con una fava”: eliminare l’ostacolo numero uno alla revisione del Maxi e alzare il prezzo della trattativa con lo Stato.

 

La seconda parte della trattativa sarebbe derivata da una spaccatura tra Riina e Provenzano, fatto che lei scrisse in un provvedimento giudiziario del 1995. Anche in questo caso, quali elementi l’hanno portata a ipotizzare questa situazione tra i due boss poi rivelatasi vera?

Nel marzo del 1995 ho ipotizzato l’esistenza di gravissimi e risalenti contrasti tra Riina e Provenzano nonostante alcuni colleghi della Procura fossero di contrario avviso, Sapevo già che molti capi mandamento legati a ‘u zù’ Binu, come Spera, Giuffré, Aglieri, lo stesso Farinella, non avevano gradito la linea di scontro totale con lo Stato avviata da Riina con le stragi del ’92 e ’93. Poi, alla fine del ’94, c’era stato l’omicidio di Francesco Montalto, figlio di Totò, considerato il “cane fedele” di Riina, cui seguì una vera e propria carneficina ad opera degli uomini di Leoluca Bagarella (cognato di Riina e in quel momento capo militare di Cosa nostra) in danno di persone vicinissime a Provenzano che, guarda caso, avevano anche una base operativa a Marsiglia. Nei mesi successivi ho ritenuto di trovare ulteriori conferme alla mia ipotesi in vicende riguardanti i movimenti di alcuni degli scappati e il c.d. ritorno dei pentiti; ma sul punto preferisco non aggiungere altro.

 

Alla vigilia del processo, autorevoli esponenti del mondo giuridico e intellettuale, come il giurista Giovanni Fiandaca, l’ex magistrato Peppino di Lello e lo storico Salvatore Lupo, hanno espresso la loro contrarietà alla tesi della Procura di Palermo. Secondo lei, cos’è che li spinge a ritenere la trattativa Stato-mafia un argomento privo di rilevanza penale?

Non voglio entrare nel merito di legittime e prestigiose opinioni di carattere giuridico e, in questo momento, non ho nemmeno titolo per farlo. Credo, però, che una vicenda di questa portata che, come sembra, potrebbe aver condizionato la storia di questo Paese per almeno una quindicina d’anni, meriti approfondimenti, ferma restando la divisione dei ruoli, anche in sedi istituzionali diverse da quella giudiziaria.

 

C’è grande attenzione su questo dibattimento. Cosa si aspetta che venga fuori nel processo?

Mi verrebbe da rispondere “nulla” ma, mio malgrado, continuo a essere un inguaribile ottimista e a riporre fiducia nelle Istituzioni democratiche e nel legittimo desiderio di verità del Popolo italiano nel cui nome si esercita la funzione giurisdizionale.

Redazione

Si24 è un quotidiano online di cronaca, analisi, opinione e approfondimento, fondato nel 2013 e con sede a Palermo. Il direttore responsabile ed editore è Maria Pia Ferlazzo.

Condividi
Pubblicato da
Redazione