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Funerali di Stato no, ma di paese sì | I comuni siciliani accolgono le vittime

Il premier, Enrico Letta, lo aveva annunciato in conferenza stampa da Lampedusa: “Funerali di Stato per le vittime del naufragio del tre ottobre”. Poi, finito il clamore mediatico, le salme sono state imbarcate su una nave che, tra il dolore dei familiari e il silenzio, ha trasportato le tante bare verso i cimiteri dei comuni siciliani che si sono offerti di accoglierle. Nessun proclama, nessun rappresentante dello Stato, nessun funerale. “Ho casualmente appreso che si sta procedendo alla sepoltura delle salme partite da Lampedusa. Senza funerali, ne’ di Stato ne’ di paese” scriveva il sindaco dell’isola, Giusi Nicolini, su Twitter. “Ce lo avessero detto li avremmo celebrati noi qui degni funerali” ha poi aggiunto ai microfoni di alcune Tv.

La gente di Sicilia, tuttavia, non è rimasta insensibile all’argomento e, anticipando la cerimonia organizata lunedì sul molo turistico di San Leone, ad Agrigento, nei vari comuni che si sono presi carico di dare degna sepoltura ai naufraghi morti nel Canale di Sicilia, si sta verificando quello che ci si aspettava a livello nazionale: Delle cerimonie in grande stile, con tutti i crismi dell’ufficialità. Non funerali di Stato, magari, ma sicuramente, per riprendere le parole della Nicolini, di paese. E’ successo a Favara, dove le due salme accolte nel cimitero di Piana Traversa sono state tumulate dopo la celebrazione del rito cristiano e di quello musulmano. E’ successo, ieri, a Valledolmo, nel Palermitano, dove i feretri dei cinque disperati assegnati al cimitero locale sono stati accolti dalle autorità del paese con una vera e propria cerimonia funebre d’onore, con grandissima partecipazione popolare, gonfaloni e insegne tricolore.

“Siamo orgogliosi di poter dare giusta sepoltura a queste salme – dice il sindaco di Valledolmo, Luigi Favari -. Ho visto, sulle bare di queste povere vittime della tragedia di Lampedusa i colori della bandiera italiana. Di quell’Italia che prima considera clandestino chi fugge dalla guerra, dalla fame e dalla povertà e cerca rifugio nel nostro Paese, e poi invece si incensa il capo, piangendo le vittime di quelle tragedie che, per legge, non possono essere evitate. Ho l’impressione che queste cerimonie servano soprattutto a metterci a posto con la nostra coscienza, mentre poi chiudiamo gli occhi di fronte alle cause da cui scaturiscono queste sciagure”.

 

Gabriele Ruggieri

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Gabriele Ruggieri
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