La storia della strage di Ustica

di Redazione

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La storia della strage di Ustica

| martedì 22 Ottobre 2013 - 17:01

La strage di Ustica è uno dei misteri d’Italia.  Il pronunciamento oggi della Cassazione apre uno spiraglio in direzione della ricostruzione autentica di quanto accadde 33 anni fa. Per la Cassazione sul disastro di Ustica è stata “abbondantemente e congruamente motivata la tesi del missile, sparato da aereo ignoto”. Piazza Cavour sottolinea che la tesi del missile “risulta ormai consacrata pure nella giurisprudenza”. Inoltre la “significativa attività di depistaggio” attorno alla strage di Ustica, nella notte del 27 giugno 1980, quando precipitò il Dc 9 dell’Itavia, può avere concretamente avuto un ruolo nel fallimento della compagnia aerea.

Questo l’ultimo capitolo dell’annosa vicenda del Dc9. Il Dc-9 I-Tigi Itavia, in volo da  Bologna a Palermo con il nominativo radio IH870, scomparve dagli  schermi del radar del centro di controllo aereo di Roma alle  20.59 e 45 secondi del 27 giugno 1980. L’aereo era precipitato nel mar Tirreno, in acque  internazionali, tra le isole di Ponza e Ustica. All’alba del 28  giugno vennero trovati i primi corpi delle 81 vittime (77  passeggeri, tra cui 11 bambini, e quattro membri  dell’equipaggio).  Il volo IH870 era partito dall’aeroporto ‘Guglielmo  Marconi’ di Borgo Panigale in ritardo, alle 20.08 anziché alle  previste 18.30 di quel venerdì sera, ed era atteso allo scalo  siciliano di Punta Raisi alle 21.13. Alle 20.56 il comandante Domenico Gatti aveva comunicato il suo prossimo arrivo parlando con “Roma Controllo”. Il volo procedeva regolarmente a una quota di circa 7.500  metri senza irregolarità segnalate dal pilota. L’aereo, oltre che di Ciampino (Roma), era nel raggio d’azione di due radar  della difesa aerea: Licola (vicino Napoli) e Marsala. Alle 21.21 il centro di Marsala avvertì del mancato arrivo a  Palermo dell’aereo il centro operazioni della Difesa aerea di  Martinafranca. Un minuto dopo il Rescue Coordination Centre di Martinafranca diede avvio alle operazioni di soccorso, allertando i vari centri dell’aeronautica, della marina militare  e delle forze Usa. Alle 21.55 decollarono i primi elicotteri per le ricerche. Furono anche dirottati, nella probabile zona di caduta, navi  passeggeri e pescherecci. Alle 7.05 del 28 giugno vennero avvistati i resti del DC 9. Le operazioni di ricerca proseguirono fino al 30 giugno, vennero  recuperati i corpi di 39 degli 81 passeggeri, il cono di coda  dell’aereo, vari relitti e alcuni bagagli delle vittime.

Sulla strage di Ustica si sono avvicendate molte ipotesi. Le principali piste sulle quali gli inquirenti hanno indagato, vagliate nel corso degli anni, sono principalmente quattro: il DC-9 sarebbe stato abbattuto da un missile aria-aria sparato da un aereo militare; il DC-9 sarebbe precipitato dopo essere entrato in collisione con un aereo militare; sarebbe avvenuto un cedimento strutturale; sarebbe esplosa una bomba a bordo. A partire dalla prima ipotesi si è via via affermata la tesi che in zona vi fosse un’intensa attività internazionale: sebbene dagli enti militari, nazionali e alleati, sino ai primi anni novanta non fosse mai giunta alcuna segnalazione di anomalie, né sul relitto sia mai stato trovato alcun frammento di missile, ma soltanto tracce di esplosivo, si sarebbe determinato uno scenario di guerra aerea, nel quale il DC-9 Itavia si sarebbe trovato per puro caso mentre era in volo livellato sulla rotta Bologna-Palermo. Testimonianze emerse nel 2013 confermerebbero la presenza di aerei da guerra e navi portaerei.

Sul caso Ustica la magistratura italiana ha prodotto migliaia di cartelle di atti. Le indagini vennero avviate immediatamente sia dalla magistratura sia dal Ministero dei Trasporti, all’epoca ministro Formica. Aprirono un procedimento le procure di Palermo, Roma e Bologna, mentre il ministro dei trasporti nominò una commissione d’inchiesta tecnico-formale diretta da Luigi Luzzatti, che però non concluse mai i suoi compiti, visto che, dopo aver presentato due relazioni preliminari, decise per l’autoscioglimento nel 1982 a causa di insanabili contrasti di attribuzioni con la magistratura. Formica finì con l’adeguarsi alla tesi prevalente, che l’aereo era precipitato per un cedimento strutturale dovuto alla cattiva manutenzione. Dal 1982 dell’indagine si occupa il giudice istruttore Vittorio Bucarelli, che nomina una nuova commissione.

Nel 1987 la ditta francese Ifremer comincia le operazioni di recupero della carcassa del Dc9, a una profondità di oltre 3mila metri. Servono, però, due campagne di lavori e alcuni anni per riportare in superficie circa il 96% del relitto. Nel frattempo anche la commissione Stragi comincia a occuparsi della vicenda.

Il 21 giugno del 2008, a 28 anni dalla strage, l’inchiesta su Ustica viene riaperta dopo le dichiarazioni di Francesco Cossiga, all’epoca della strage presidente del Consiglio, che ha attribuito la responsabilità del disastro a un missile francese “a risonanza e non ad impatto”.

Il 10 settembre 2011, dopo tre anni di dibattimento, una sentenza emessa dal giudice civile Paola Proto Pisani, ha condannato i ministeri della Difesa e dei Trasporti al pagamento di oltre 100 milioni di euro in favore di 42  familiari delle vittime della Strage di Ustica. Alla luce delle informazioni raccolte durante il processo, i due ministeri sono stati condannati per non aver fatto abbastanza per prevenire il disastro. Secondo le conclusioni del giudice di Palermo, nessuna bomba esplose a bordo del DC-9, bensì l’aereo civile fu abbattuto durante una azione che si svolse nei cieli italiani.

Il 28 gennaio 2013 la Corte di Cassazione, nel respingere i ricorsi dell’avvocatura dello Stato ha confermato la precedente condanna, sentenziando che il DC-9 Itavia cadde non per un’esplosione interna, bensì a causa di un missile.Lo Stato fu dunque condannato a risarcire i familiari delle 81 vittime per non aver garantito, con sufficienti controlli dei radar civili e militari, la sicurezza dei cieli.

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