Sicilia, Pil e lavoro in caduta libera | Ma la soluzione non è l’austerity

di Redazione

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Sicilia, Pil e lavoro in caduta libera | Ma la soluzione non è l’austerity

| venerdì 08 Novembre 2013 - 21:07

 Dal 2008 al 2012 in Sicilia si sono persi 11 punti di PIL e 86mila posti di lavoro,  di cui circa 80mila tra giovani under 34, la disoccupazione corretta è arrivata a sfiorare il 33%, e il rischio di povertà è sull’isola quattro volte superiore del Centro-Nord. Eppure al di là di questi terribili numeri sull’emergenza siciliana, quello che colpisce è il silenzio dei tecnici e dei politici sul tema dello sviluppo, senza il quale non esiste la crescita, oppure l’insistenza sulla supremazia della logica dell’austerità per rilanciare il Paese, mentre occorrerebbe una nuova strategia di politica industriale centrata sul manifatturiero e un approccio di sistema nella gestione dei progetti strategici simile a quella degli anni del dopoguerra per far ripartire tutto il Paese avendo come fulcro il Mezzogiorno. Sono questi gli spunti che vengono fuori nel corso della quinta edizione delle Giornate dell’Economia nel Mezzogiorno, tenutosi a Palermo.

 “Per noi ‘bellezza’ – Dice Pietro Busetta, presidente della Fondazione Curella – significa semplificazione amministrativa, significa riscoprire la nostra dimensione mediterranea, significa diminuire la povertà, si significa che il Paese sia uno. Noi che siamo classe dirigente di questo Paese abbiamo il dovere di fare una operazione verità e dobbiamo essere capaci di analizzare e dire se l’Italia fin dal momento dell’unità era ed è stata poi in grado di assimilare a sé e a pieno il Sud. È riuscita a metabolizzare una larga fetta di Paese che oggi ha circa 21 milioni di abitanti e di questi ne lavorano soltanto sei milioni circa, cioè uno su quattro ha un lavoro e in queste cifre è compreso il sommerso quindi anche quelli che lavorano in nero. La verità drammatica è che nessuno si sta occupando dello spopolamento del Sud, del fatto che tra 20 anni le campagne saranno deserte e gli antichi borghi saranno abbandonati per sempre il tutto nella incapacità storica della classe dirigente del Paese”.

 “Non c’è crescita senza sviluppo – ha ricordato Riccardo Padovani, direttore della Svimez – e forse, come ha di recente osservato il Presidente della Svimez Adriano Giannola, la più grande carenza di tecnici e politici è proprio questo grande silenzio sul tema dello sviluppo, mentre grande è l’attenzione ai pallidi segnali di una auspicata ripresa congiunturale, che temiamo non modificherebbe la grande sterilità di risultati in un governo dell’economia che si limitasse a perseguire la logica dell’austerità”.

“La Svimez continua a insistere sul fatto che il Mezzogiorno costituisce la grande opportunità nazionale per avviare un percorso di ripresa dell’economia. Percorso che dovrebbe essere centrato su una politica industriale attiva, che sappia adeguare il sistema produttivo alle sfide della globalizzazione riqualificando il modello di specializzazione e penetrando in settori emergenti e innovativi in grado di creare nuove opportunità di lavoro. Serve insomma una logica “industriale” e un approccio “di sistema” nella gestione di progetti che richiede investimenti strategici diluiti nel tempo e una progettazione a lungo termine sul modello di quella attuata negli anni ’50 e ’60.

 “Non ci si può illudere – sottolinea Padovani – che solo perseguendo la logica dell’austerità, alla quale sono state improntate le manovre degli ultimi anni per il riequilibrio dei conti pubblici e la prospettiva di cospicui avanzi primari nei prossimi anni, si possa tornare a crescere. A livello europeo, infine, occorrerebbe una profonda revisione dell’impianto dei fondi strutturali, risorse italiane trasferite a Bruxelles che per effetto della politica di coesione europea rientrano solo parzialmente in Italia, e non solo per l’incapacità di gestione dei progetti delle Regioni o dei Ministeri italiani, ma perché strutturalmente una cospicua quota e’ destinata ai paesi non aderenti all’euro, che già godono, a differenza del Mezzogiorno italiano, di misure fiscali vantaggiose e di un’autonomia valutaria per noi impensabile. Per correggere quindi questa pericolosa distorsione, sottolinea Padovani, occorrerebbe calcolare il saldo tra danni e vantaggi fino a realizzare una completa revisione del sistema”.

 “Contro la povertà il reddito di inclusione sociale – conclude il direttore della Svimez – Last but not least, se l’Italia è troppo diseguale per crescere, politiche di sviluppo e politiche redistributive e di inclusione sociale dovrebbero andare di pari passo. In questo senso va guardata con estremo interesse la proposta di adozione di uno strumento di lotta alla povertà quale il Reis, reddito di inclusione sociale, presentata dalle Acli e dalla Caritas. Secondo elaborazioni Svimez infatti delle circa 1 milione e 300mila famiglie beneficiarie in Italia della misura, oltre 620mila sarebbero al Sud, una cifra pari al 48,5% del totale e al 7,7% del totale delle famiglie italiane, a fronte di un costo stimato in circa 2,9 miliardi di euro”.

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