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La “Dea Tangente”, Bergoglio contro la corruzione| Monsignor La Delfa: “Papa richiama le coscienze”

Papa Francesco ha abituato tutti, fedeli e non, a parole che evocano un forte senso di “accoglienza e sincero affetto”. Lo ha sottolineato oggi anche il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, in occasione del primo incontro ufficiale al Quirinale. Napolitano ha lodato “il saper comunicare con i semplici, il saper trasmettere a ciascuno e a tutti i valori del messaggio cristiano” di Papa Francesco. E questo “amore per gli altri – ha continuato il presidente della Repubblica – sprigiona potenzialità nuove per combattere il dilagare dell’egoismo, dell’insensibilità sociale, del più spregiudicato culto del proprio tornaconto personale”. In questo contesto arrivano con forza le parole di Bergoglio sul tema della corruzione e di chi porta una maschera che cela in realtà una “putredine verniciata”. Abbiamo chiesto un commento alle parole del Papa sul tema della corruzione a monsignor Rosario La Delfa, preside della Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia “San Giovanni Evangelista”.

Come interpreta le parole di condanna del Pontefice nei confronti dei corrotti?

“Il Papa non condanna alcuno. Il suo compito, ben fatto, è quello di richiamare la coscienza di ciascuno usando i termini con cui Gesù stesso si è espresso riguardo a temi così delicati. In riferimento al tema della corruzione, che già qualche giorno fa, il 9 novembre, era stato sollecitato dal brano liturgico del vangelo di Luca (Luca 16, 1-8) e al quale il Papa faceva un commento, egli ribadisce che la corruzione è da intendersi come una scorciatoia. La strada diritta è quella del lavoro con il quale si procaccia il pane per se e per i propri figli. Quando si accetta di fare un compromesso che facilita il guadagno a scapito del bene comune, è come se si scegliesse di intraprendere una scorciatoia. Tale scorciatoia ha un nome chiaro, che non ha bisogno di essere spiegato diversamente: si ruba la giustizia ad altri attraverso una manipolazione della realtà credendo di fare giustizia a se stessi. La corruzione, che in se comprende il furto, l’appropriazione indebita, la disonestà, toglie agli altri la loro dignità, non solo il loro danaro. Ciò di cui si appropria l’amministratore disonesto non gli appartiene, è, come dice il Papa con una immagine molto persuasiva, “pane sporco” che, tolto a chi ne aveva merito, viene posto sulla mensa dei propri figli. Più che di condanna il Papa parla delle conseguenze nefaste che simili aberranti comportamenti producono sia a chi ne è vittima diretta, sia a chi ne è vittima indiretta, cioè le stesse famiglie e figli di coloro che esercitano la corruzione”.

“Giorno 11 novembre, nella sua omelia, tornando sul tema della corruzione il Papa spiega che la corruzione non è solo un peccato, ma uno scandalo, cioè un atteggiamento che crea una condizione di smarrimento e di sfiducia sociale nei più deboli, nei più piccoli. Paragona infatti la pratica della corruzione alla creazione di uno scandalo, per il quale il Vangelo ha espressioni di riprovazione e di biasimo, più decisivi che per il peccato. Infatti, spiega il Papa che, mentre dal peccato può generarsi la conversione e il pentimento per il fatto di essere un errore, dallo scandalo invece, essendo la condizione di chi si crede nel giusto pur commettendo l’ingiustizia, non può che prodursi un ostacolo alla crescita e al progresso nella serenità degli altri. Uno scandalo, per sua indole, induce gli altri in una situazione dove manca la speranza, ovvero in una situazione sociale ed economica diseguale, «perché questa persona inganna», e «dove c’è l’inganno, non c’è lo Spirito di Dio. Questa è la differenza fra peccatore e corrotto». Il corrotto nelle parole del Papa è dunque un usurpatore della dignità e della speranza. Si badi bene al fatto che il Papa considera piccoli e deboli anche gli stessi figli dei corrotti, per i quali il peso e la gravità dello scandalo prodotto dal genitore, causa una perdita maggiore di dignità e di umanità. Essi infatti vengono nutriti di inganno e di malizia”.

Papa Francesco ha paragonato la “doppia vita” dei corrotti a una “putredine verniciata”, parole pronunciate con forza. Cosa ne pensa?

“Le parole del Papa attingono dal vangelo sia la loro forza che la stessa veste linguistica. L’espressione “putredine verniciata” è infatti usata da Gesù nei confronti dei Farisei suoi contemporanei che egli chiama “sepolcri imbiancati” Si può trovare il testo in Matteo 23, 27: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume». In questo caso Francesco ha chiaro l’insegnamento di Cristo, il quale deplora ogni forma di religiosità che non sia coerente con una interiorità equilibrata e pura nelle intenzioni. Come Gesù, anche il Papa rivolge il suo biasimo a coloro che giustificano le loro malversazioni con atteggiamenti religiosi esteriori nei quali possibilmente riversano alcuni frutti del loro guadano disonesto. In questo caso, sembra dire con forza il Papa, l’inganno è doppio perché essi cercano l’approvazione degli uomini per le loro azioni generose, incuranti del fatto che Dio vede e scruta la verità autentica dei loro cuori. Come è possibile vedere, il Papa non predica sue personali opinioni ma spiega la verità del Vangelo di Cristo, con reale e autorevole fedeltà. L’espressione “doppia vita” associata al corrotto, non solo dice come di fatto una persona che ruba agli altri per donare alla Chiesa sia sleale e ipocrita, ma di più significa che egli sia già in una condizione di necrosi interiore, la quale seppure all’esterno possa apparire ancora viva, in effetti è già inefficace e produce la morte sociale degli altri”.

Il Pontefice ci ha abituato a parole di perdono e accoglienza nei confronti di chi commette errori. E in questo caso particolare?

“La particolare forza con cui Papa Francesco sottolinea le conseguenze prodotte da uno scandalo, rifacendosi alle parole di Gesù in Luca 17,1-2: «È inevitabile che vengano scandali, ma guai a colui a causa del quale vengono. È meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli», è conseguente alla differenza che egli pone tra peccato e corruzione. «La differenza», spiega il Pontefice, «è che chi pecca e si pente, chiede perdono, si sente debole, si sente figlio di Dio, si umilia, e chiede proprio la salvezza da Gesù. Ma di quell’altro che scandalizza, che cosa scandalizza? Che non si pente. Continua a peccare, ma fa finta di essere cristiano: la doppia vita. E la doppia vita di un cristiano fa tanto male, tanto male. “Ma, io sono un benefattore della Chiesa! Metto la mano in tasca e do alla Chiesa”. Ma con l’altra mano, ruba: allo Stato, ai poveri … ruba. È un ingiusto. Questa è doppia vita. E questo merita – dice Gesù, non lo dico io – che gli mettano al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Non parla di perdono, qui». Si potrebbe dire che il peccato non è il peccatore, ma che la corruzione sia proprio delle intenzioni e del modo di essere del corrotto e del corruttore. Si tratta di una condizione che accompagna anteriormente la persona nella scelta delle proprie azioni e dei propri comportamenti. Ancora una volta, non è il papa che condanna e punisce il corrotto, ma è la stessa condizione del corrotto che ne manifesta l’impossibilità di considerare fruibile nei suoi confronti quella misericordia e il perdono che Gesù ha annunziato e conquistato per noi sulla croce. Mi sembra opportuno ribadire che l’amore per i poveri non può non ammettere il biasimo e la riprovazione della cause che producono la povertà. Fa bene Papa Francesco a mostrarci l’autentica via di questo amore e di questa predilezione: essa passa necessariamente attraverso la costatazione, come fece Maria nel Magnificat, che il potere dei superbi è spodestato dal suo trono dalla giustizia di Dio che esalta gli umili. La forza della proposta cristiana non sta nella munificenza dell’offerta presentata all’altare quanto nella purezza e limpidezza del cuore di chi offre. Si può parlare di povertà e dei poveri senza vedere in filigrana quel peccato strutturale che crea tale condizione e condanna a una vita di stenti e di privazioni individui, famiglie e anche intere nazioni?”.

Stefania Brusca

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