Gli italiani descritti dal Censis | Infelici, sciapi, razzisti e teledipendenti

di Redazione

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Gli italiani descritti dal Censis | Infelici, sciapi, razzisti e teledipendenti

| venerdì 06 Dicembre 2013 - 10:51

Il Censis ha presentato il 47° Rapporto sulla situazione sociale del Paese evidenziando i tratti tipici degli italiani. Il risultato? L’Italia è un paese smarrito, dove domina l’incertezza e la crisi: molti italiani non riescono a pagare le bollette. Ma quello che non manca sono televisione e smartphone. Un dato che spicca è il rischio razzismo: mentre due italiani su tre (il 65,2%) pensano che gli immigrati in Italia siano troppi. Ma nonostante questo, in molti scelgono di trasferirsi all’estero.

Siamo anche una “società sciapa e infelice” secondo il Censis “senza fermento e dove circola troppa accidia, furbizia generalizzata, disabitudine al lavoro, immoralismo diffuso, crescente evasione fiscale, disinteresse per le tematiche di governo del sistema, passiva accettazione della impressiva comunicazione di massa”. Di conseguenza siamo anche “infelici, perché viviamo un grande, inatteso ampliamento delle diseguaglianze sociali”.

PAESE INDIETRO DI DIECI ANNI – Nel 2013 le spese delle famiglie sono tornate indietro di oltre 10 anni. Il Censis sostiene che questo sia l’anno culmine di un lungo trend di decrescita che parla di un “Paese smarrito” e i consumi descrivono “un Paese sotto sforzo o, meglio, profondamente fiaccato da una crisi persistente”. Le spese per prodotti alimentari sono scese del 6,7% dai primi anni 2000, quelle per abbigliamento e calzature del 15%, per arredamento e manutenzione casa dell’8%, per i trasporti del 19%. Viceversa sono cresciute le spese per utenze domestiche e manutenzione casa (+6,3%) e quelle medico-sanitarie (+19%). Nell’ultima parte del 2013 ben il 69% di un campione di 1.200 famiglie ha indicato una riduzione e un peggioramento della capacità di spesa nel corso dell’anno, mentre appena il 2% ha indicato un miglioramento.

SPESE RIDOTTE DEL 50% – Le famiglie italiane hanno rivisto i consumi e quasi il 50% prevede di contenere nei prossimi mesi le spese familiari. Secondo il Censis il 76% segue le promozioni, il 63% scegli gli alimenti in base al prezzo più conveniente, il 62% ha aumentato gli acquisti di prodotti di marca commerciale, il 68% ha diminuito le spese per cinema e svago, il 53% ha ridotto gli spostamenti con auto e scooter per risparmiare benzina, il 45% ha rinunciato al ristorante. Il Censis sottolinea poi che 1,2 milioni di famiglie non sono riuscite a coprire le spese con il proprio reddito e hanno fatto ricorso a prestiti di amici. Come in passato, è intervenuta la messa in sicurezza delle reti familiari: sono poco meno di 8 milioni le famiglie che hanno ricevuto dai parenti una forma di aiuto nell’ultimo anno.

PREVALE L’INCERTEZZA –  L’incertezza ha preso il sopravvento non solo sull’ottimismo ma anche sul pessimismo e una larga parte degli italiani scopre “un’intima fragilità”. La quota di incerti verso il futuro è passata dal 13% del 2010 al 33%. L’incertezza assuma poi la forma della preoccupazione: la pressione fiscale e le spese non derogabili comportano uno stato di tensione continua. Il 52% delle famiglie – scrive il Censis – sente di avere difficoltà a preservare i propri risparmi e quasi il 50% sente di non riuscire a mantenere il proprio tenore di vita. Il 72,8% si sentirebbe in difficoltà se dovesse affrontare spese impreviste di una certa portata, come quelle mediche (oppure riparazioni per la casa o per l’auto), il 24,3% ha difficoltà a pagare tasse e tributi e quasi il 23% a rispettare le scadenze delle bollette.

PERICOLO RAZZISMO – Solo il 17,2% degli italiani prova comprensione e ha un approccio amichevole nei confronti degli immigrati; 4 su cinque si dividono tra diffidenza (60,1%), indifferenza (15,8%) e aperta ostilità (6,9%) mentre due italiani su tre (il 65,2%) pensano che gli immigrati in Italia siano troppi. Dall’ultimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese emerge “la scarsa diffusione di sentimenti positivi” verso gli stranieri. Oltre la metà della popolazione (il 55,3%) ritiene che, nell’attribuzione degli alloggi popolari, a parità di requisiti, gli italiani dovrebbero essere inseriti in graduatoria prima degli immigrati, ed è circa la metà (48,7%) a pensare che sia giusto, in condizioni di scarsità di lavoro, dare la precedenza agli italiani anche nelle assunzioni.

“Il razzismo, nella sua peggior veste, è un rischio presente all’orizzonte”, avverte il Censis: appena un quarto degli italiani (24,4%) ritiene che la nostra democrazia sia in grado di tutelarci contro questo fenomeno, mentre il 40,1% teme che il razzismo possa dilagare anche a partire da pochi casi isolati; il 35,5%, poi, vede nell’intreccio tra crisi economica, disoccupazione e intolleranza un pericolo in grado di innescare vere tragedie.

GLI ITALIANI SCELGONO L’ESTERO – Nell’ultimo decennio il numero di italiani che hanno trasferito la propria residenza all’estero è più che raddoppiato, passando dai circa 50mila del 2002 ai 106mila del 2012. Ma è stato soprattutto nell’ultimo anno che l’aumento dei trasferimenti è stato particolarmente rilevante: +28,8% tra il 2011 e il 2012. Gli italiani all’estero ammonterebbero a oltre 4,3 milioni di connazionali. Sono 1.130.000 le famiglie italiane (il 4,4% del totale) che hanno avuto nel corso del 2013 uno o più componenti residenti all’estero per più di tre mesi. A questa quota si aggiunge un altro 1,4% di famiglie in cui uno o più membri stanno progettando la partenza o sono in procinto di trasferirsi. Quasi la metà dei giovani che si trovano all’estero (il 44,8%) vive ormai stabilmente in un altro Paese mentre il 13,4% considera temporanea la propria presenza fuori dall’Italia, legata a un periodo di formazione o di lavoro. Per un ulteriore 41,8% dei giovani connazionali all’estero il futuro appare ancora tutto da decidere: il 24,7% si trova oltre confine, ma non ha progetti molto precisi sul da farsi, se restare o tornare.

Chi se ne è andato lo ha fatto per darsi migliori chance di carriera e di crescita professionale: è questo il fattore considerato determinante nella scelta di trasferirsi da ben due intervistati su tre (il 67,9%). Se la metà (51,4%) indica la possibilità concreta di trovare lavoro, il 54,3% è stato invece spinto dalla convinzione che solo all’estero si possa sviluppare un progetto di vita e migliorare la qualità del proprio vivere quotidiano. Per alcuni hanno avuto un peso decisivo le ragioni affettive: il 15,2% si è trasferito per seguire una persona cara, il 12% per vivere al meglio e in piena libertà la propria dimensione di vita sentimentale, senza essere vittima di pregiudizi o atteggiamenti discriminatori, come nel caso di gay o madri single. Quello che al confronto con l’estero appare il difetto più intollerabile dell’Italia è l’assenza di meritocrazia a tutti i livelli, denunciata dal 54,9% degli intervistati.

UNIVERSITÀ – L’affanno che gli atenei italiani mostrano nei confronti internazionali è la conseguenza di un sistema universitario “per certi versi troppo provinciale, nonostante la presenza di atenei di tradizione e di eccellenze di nicchia”. Le università italiane stentano a collocarsi all’interno delle reti internazionali di ricerca; in alcuni casi sono affette da un progressivo rinserramento entro i confini nazionali, caratterizzandosi per una prevalente connotazione locale, talvolta municipale”. Riguardo al gap tra nord e del sud Italia, l’indice regionale di attrattività delle università nelle regioni meridionali ha un andamento decrescente di lungo periodo. Nel decennio compreso tra il 2002 e il 2012 – spiega il Censis – tale indice nel Mezzogiorno passa da -20,7% a inizio periodo a -28,3% a fine periodo, incrementandosi negativamente di oltre 7 punti percentuali. Scorporando il valore delle regioni insulari, si osserva che l’indice precipita nelle isole da -10,1% nel 2002 a -26,2%, nel 2012.

SCUOLA – In Italia uno dei nodi ancora da sciogliere è quello della insufficiente scolarità complessiva, “che presenta sacche ancora significative di popolazione anche in giovane età con titoli di studio bassi”. Secondo il 21,7% della popolazione italiana con più di 15 anni ancora oggi possiede al massimo la licenza elementare, e i miglioramenti registratisi nel corso degli anni sembrano dovuti soprattutto a fenomeni demografici. Inoltre in Italia resta un problema la dispersione scolastica: la quota di “early school leavers”, seppure in tendenziale diminuzione, continua a essere significativa e in alcune aree geografiche pericolosamente endemica. Per il Censis da una parte occorre puntare sull’istruzione degli adulti, dall’altra “aggredire la dispersione includendo il territorio”. Sul fronte dell’insufficienza di scolarità, secondo gli esperti del Censis un contributo determinante “può e deve essere apportato dal circuito dell’istruzione degli adulti, in corso di revisione e aggiornamento da ormai troppo tempo”.

Della gravità della situazione sono da tempo consapevoli decisori politici e operatori del settore, che hanno intrapreso numerose iniziative in tal senso. Nonostante questo, si legge nel dossier, abbandoni, pur decrescenti dal 2009, restano comunque a livello sia nazionale, sia ripartizionale al di sopra del 10%. Infatti, in Italia nel 2011 alla fine del primo anno aveva abbandonato gli studi l’11,4% degli studenti iscritti. Lo stesso indicatore nelle regioni del Nord e del Centro era di poco superiore al 10% (nell’ordine, 10,4% e 10,3%), mentre le regioni meridionali si contraddistinguevano per la maggiore intensità dei rispettivi tassi di abbandono, con valori pari al 13% nel Mezzogiorno in complesso e al 14,9% nelle sole isole.

DIPENDENTI DA TV E SMARTPHONE – È un popolo sempre più teledipendente quello italiano ma anche perennemente connesso grazie al cellulare e soprattutto, allo smartphone. I giovani usano la web tv molto più degli anziani, sono iscritti massicciamente a Facebook al contrario degli over 60 ma leggono poco i quotidiani lasciando in questo campo, la rivincita agli ultrasessantacinquenni. Buone notizie sul fronte libri: si segnala una ripresa della lettura mentre non si arresta, in generale, la flessione della carta stampata. I dati sull’andamento dei consumi mediatici degli italiani rilevati nel 2013 descrivono la nuova fase di evoluzione digitale della specie, così come emerge dall’ultimo Rapporto Censis sulla comunicazione (realizzato in collaborazione con Ucsi, 3 Italia, Mediaset, Mondadori, Rai e Telecom Italia).

Si conferma dunque il ruolo intramontabile della televisione, che continua ad avere un pubblico di telespettatori che coincide sostanzialmente con la totalita’ della popolazione, con un rafforzamento pero’ del pubblico delle nuove televisioni: +8,7% di utenza complessiva per le tv satellitari rispetto al 2012, +3,1% la web tv, +4,3% la mobile tv. Non solo tv ma anche radio: si conferma una larghissima diffusione di massa del mezzo (l’utenza complessiva corrisponde all’82,9% degli italiani), nonostante la riduzione dell’uso dell’autoradio dipendente dalla diminuzione del traffico automobilistico, mentre l’ascolto per mezzo dei telefoni cellulari risulta in forte crescita (+5,4%). L’uso dei cellulari continua ad aumentare (+4,5%), soprattutto grazie agli smartphone sempre connessi in rete (+12,2% in un solo anno), la cui utenza e’ ormai arrivata al 39,9% degli italiani (e al 66,1% dei giovani). Gli utenti di internet, dopo il rapido incremento registrato negli ultimi anni, si assestano al 63,5% della popolazione (+1,4%).

Al tempo stesso, non si arresta la crisi della carta stampata: -2% i lettori dei quotidiani a pagamento, -4,6% la free press, -1,3% i settimanali. Stabili i quotidiani online (+0,5%), in crescita gli altri portali web di informazione, che contano l’1,3% di lettori in piu’ rispetto allo scorso anno. Infine, si segnala una ripresa della lettura dei libri (+2,4%), dopo la grave flessione dello scorso anno, benchè gli italiani che hanno letto almeno un libro nell’ultimo anno sono solo il 52,1% del totale. E gli e-book arrivano a un’utenza del 5,2% (+2,5%). E spicca la distanza tra i consumi mediatici dei giovani e quelli degli anziani, con i primi massicciamente posizionati sulla linea di frontiera dei new media e i secondi distaccati, in termini di quote di utenza, di decine di punti percentuali. Tra i giovani la quota di utenti della rete arriva al 90,4%, mentre è ferma al 21,1% tra gli anziani; il 75,6% dei primi è iscritto a Facebook, contro appena il 9,2% dei secondi; il 66,1% degli under 30 usa telefoni smartphone, ma lo fa solo il 6,8% degli over 65; i giovani che guardano la web tv (il 49,4%) sono diciotto volte di più degli anziani (il 2,7%); il 32,5% dei primi ascolta la radio attraverso il cellulare, contro solo l’1,7% dei secondi; e mentre il 20,6% dei giovani ha già un tablet, solo il 2,3% degli anziani lo usa. Si nota qui anche il caso opposto, quello dei quotidiani, per i quali l’utenza giovanile (il 22,9%) è ampiamente inferiore a quella degli ultrasessantacinquenni (il 52,3%).

IL 56% SI DISINTERESSA DELLA POLITICA – Cresce il disinteresse per la politica in senso generale a favore della difesa del microterritorio: il 56% degli italiani (contro il 42% della media europea) non ha attuato nessun tipo di coinvolgimento civico negli ultimi due anni, neppure quelli di minore impegno, come la firma di una petizione. Più di un quarto dei cittadini manifesta una lontananza totale dalla dimensione politica, non informandosi mai al riguardo. Al contrario, si registrano nuove energie difensive in tanta parte del territorio nazionale contro la chiusura di ospedali, tribunali, uffici postali o presidi di sicurezza.

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