Beni confiscati alla mafia e sopravvivenza nel mercato economico | Magistrati, ricercatori e imprenditori a confronto /VIDEO

di Maria Teresa Camarda

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Beni confiscati alla mafia e sopravvivenza nel mercato economico | Magistrati, ricercatori e imprenditori a confronto /VIDEO

| venerdì 21 Febbraio 2014 - 11:59

Le imprese sottoposte ad amministrazione giudiziaria hanno tanti problemi, uno in particolare: sopravvivere alle condizioni del mercato economico. La governance dei patrimoni sequestrati, dunque, nell’era globale, non può prescindere da un’analisi competitiva del sistema d’imprese e dalla considerazione che la concorrenza per alcune di queste è una corsa ad ostacoli.

Per tentare di trovare soluzioni adeguate per questa delicata questione, magistrati, ricercatori e imprenditori si sono incontrati nella sede di Confidustria Sicilia nell’ambito del workshop “Gestione dei beni sottratti alle Mafie e Riforma dei mercati”, organizzato dalla onlus “Fondazione Progetto Legalità”.

L’obiettivo dell’amministrazione giudiziaria è la creazione di valore in una visione di medio e lungo periodo. Una visione “binoculare” che contempli due aspetti molto importanti: ripristino della legalità e miglioramento dell’efficienza.  “Le imprese sottratte ai circuiti mafiosi e gestite da un amministratore giudiziario – spiegano gli organizzatori – sono una nuova specie darwiniana sul mercato: esse hanno subito un provvedimento, un trauma e al contempo una forte mutazione genetica. Come potranno quest’ultime competere nel mercato quando i criteri di selezione di quest’ultimo sono proposti e/o imposti o influenzati dal metodo mafioso?”.

“L’aggressione ai beni confiscati e il risanamento delle aziende non possono essere realizzati senza un vero ripensamento delle dinamiche ordinarie del mercato economico – ha detto Giovanbattista Tona, consigliere della Corte di appello di Caltanissetta – non si può chiedere un cambiamento nella gestione dei beni soltanto al settore delle misure di prevenzione. Senza un vero cambiamento del mercato sia in termini di soggetti che di metodo, non è possibile evitare il condizionamento e le pesanti pressioni sulle imprese alla base del loro successo o insuccesso”.

“Tra le criticità affrontate nella gestione dei beni confiscati ci siamo trovati di fronte al caso di una banca che ha chiuso la linea di credito ad una azienda sequestrata e l’ha riaperta al preposto, cioè il prestanome”, ha detto Silvana Saguto, presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo. “È difficile ripristinare la legalità senza fermare l’impresa – ha aggiunto – ci sono anche contributi non versati pregressi che difficilmente si possono versare, perché a volte sono gonfiate anche le retribuzioni o il personale dell’azienda; l’Inps non ci ha dato neanche un appuntamento per risolvere questo problema”.

“Tra le relazioni complicate che l’amministratore giudiziario deve affrontare – ha osservato il giudice Saguto – c’è quella con il sindacato che a volte ha creato dei problemi: va ribadito che la priorità non è l’occupazione, ma il ripristino della legalità. Per cui se quell’impresa ha una pletora di dipendenti che non consente la prosecuzione dell’attività perché i costi sono superiori alle entrate dichiarate, ciò rappresenta una criticità. Purtroppo ci accusano spesso di rovinare l’economia, addirittura un avvocato, che non difendeva neanche un mafioso, lo ha detto in udienza”.

“Un incontro che assume un’importanza maggiore – dice Antonio Balsamo, presidente della Corte di Assise e della sezione Misure di prevenzione presso il Tribunale di Caltanissetta – perché siamo alla vigilia dell’approvazione della direttiva europea sulla confisca, un testo che darà fortissima legittimazione al modello basato sul riuso sociale dei beni sequestrati che abbiamo creato in Italia. Un modello di riferimento fondamentale per il reinserimento di questi beni in un circuito economico legale”.

“Tra l’altro – conclude Balsamo – queste criticità di cui si parla spesso, quando si dice per esempio che il 90 per cento delle aziende sottoposte ad amministrazione giudiziaria fallisce, non sono presenti in maniera unoforme sul territorio nazionale, le esperienze che abbiamo in Sicilia sono assolutamente contrarie a questa tendenza. La maggioranza delle imprese sopravvive: non quelle che erano inserite nei canali del riciclaggio, ma quelle che in un particolare momento della loro vita hanno subito un condizionamento mafioso”.

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