Sarà eseguita probabilmente lunedì all’ospedale Martini di Torino l’autopsia sulla donna di 37 anni deceduta mercoledì nel nosocomio torinese, dove si era recata per un’interruzione volontaria di gravidanza farmacologica con la Ru486.
“È un evento che ci addolora moltissimo, siamo vicino ai familiari della signora – ha detto il direttore sanitario dell’Asl 1 Paolo Simone – abbiamo cercato di mantenere la privacy in attesa dell’autopsia. Ieri abbiamo ricevuto la relazione del primario del reparto di ostetricia e ginecologia dell’ospedale Martini, dottor Flavio Carnino e questa mattina la procura ci ha dato l’autorizzazione all’autopsia”.
La donna, come da protocollo, era stata ricoverata il 7 aprile per la somministrazione della prima pillola di Ru486, poi, dopo aver scelto di tornare a casa, era rientrata in ospedale mercoledì 9 per la seconda dose del farmaco.
Fino alle 12 di mercoledì 9 il decorso della donna, secondo quanto ha spiegato il primario di ginecologia dell’ospedale Martini di Torino, dottor Carnino, è stato regolare. “Aveva accusato un piccolo dolore e per questo le era stato dato un antidolorifico, poi la prima ecografia fatta verso mezzogiorno aveva dato esito positivo. Verso mezzogiorno e venti – ha proseguito – la signora ha avuto un episodio di difficoltà respiratoria, seguita da vertigini, poi e’ svenuta”. “Sono stati, quindi, chiamati i medici ginecologi, l’anestesista e sono iniziate le manovre necessarie. – ha detto ancora il medico – La signora ha avuto almeno una decina di arresti cardiaci, è stato usato anche il defribillatore e poi verso le 14,20 è stata portata in rianimazione, dove è deceduta alle 22,45”.
Secondo quanto riferito dal quotidiano torinese La Stampa “se l’autopsia confermerà oggi quelli che sono i primi sospetti dei medici, si tratta del primo caso in Italia, mentre negli Stati Uniti si contano almeno già otto vittime della cosiddetta pillola dell’aborto”.
Il quotidiano torinese riporta ancora che “i sostenitori dell’utilizzo del farmaco ribadiscono, invece, la sua sicurezza, in quanto in tutto questo tempo le complicanze gravi sono state rarissime”.
(foto d’archivio)