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Un padre scomparso e una vita in stand by | Gabardini riparte da “Fossi in te io insisterei”

“Questo libro è il tasto play sulla mia vita in stand by”. È così che Carlo Gabardini, attore e autore per la tv e il teatro, descrive il suo primo libro “Fossi in te io insisterei” (Mondadori). Ma questa è la definizione aulica, come si suol dire, poi c’è anche quella un po’ più terra terra: “È come un parto”.

Il “travaglio” che ha portato a questa lettera al padre, scomparso nel 1999, infatti, è durato quasi 15 anni. Un tempo lungo, ma un tempo imprescindibile se necessario per elaborare la scomparsa di un padre molto amato. Un percorso che passa necessariamente da un momento di pausa – di stand by, appunto – in cui ricordare chi si è stati e chi si è diventati.

Per raccontare il proprio rapporto col genitore, Carlo ha ripercorso tutti gli anni della propria vita rileggendo le pagine dei diari che fedelmente tiene da sempre, scrivendo “prima su delle agende comuni, poi su dei quaderni, oggi su dei file”. “Riconoscersi per ripartire – dice. – Riscoprire le nostre motivazioni originarie, mettendo da parte i compromessi a cui ci ha costretti la vita. Dico sempre che fare coming out non ha a che fare soltanto con l’omosessualità, ma anche con la dichiarazione d’amore nei confronti della persona che sognavamo di essere. Come dire, fare un passo indietro per farne poi due avanti. Per scoprire, o prendere consapevolezza, che non voglio essere soltanto la brutta copia di mio padre, ma che io voglio essere me stesso, prendere il buono di lui ma essere me stesso”.

E non si può fare a meno di fare i conti con le aspettative tradite dei genitori. “Certo, rendersi conto che noi figli deluderemo sempre le aspettative dei nostri genitori – spiega. – Ma ci sta, è del tutto naturale. Poi, noi gay siamo fortunati da questo punto di vista – scherza – perché a tre anni siamo già consapevoli che dovremo deluderle per forza queste aspettative”.

Omosessuale dichiarato, Gabardini è uno dei simboli (questa definizione lo farà ridere, n.d.r.) della comunità Lgbt e della lotta per i diritti dei gay. Tanto che il sito Gay.it lo ha inserito nella rosa dei dodici nomi in lizza per il “premio” di Personaggio gay dell’anno. “Sarebbe veramente un onore. Voglio vincere – dice, durante la tappa palermitana al Caffè del Teatro Massimo, del suo tour in Sicilia, organizzato da Flaccovio, per la presentazione del libro – ma credo che ognuno di noi in lizza abbia dato tanto per questa causa”.

Scrivendo il libro, due sono gli “erroracci” che Carlo Gabardini si è accorto di aver commesso nell’affrontare la perdita di suo padre. “Al suo funerale – racconta – parlai dal pulpito e dissi che ‘il nostro dialogo si era interrotto’. Ma mi sbagliavo, perché la sua voce si accomodò nella mia testa e il dialogo continuò anche in maniera poco sana, a tratti. Mi sono accorto che i morti vanno lasciati andare, altrimenti diventano mostri, alibi per i nostri comportamenti”.

“L’altro errore – prosegue – fu quello di ingolfarmi di lavoro. Lavoravo come un pazzo: andai a Torino per uno spettacolo, scrivevo per Paolo Rossi, Sabina Guzzanti, Camera café. Lavoravo, lavoravo, per non pensare che ero orfano per non sentire che mi mancava da fare schifo. E perché pensavo di dover sostituire mio padre con una cifra sempre più alta del mio conto corrente, pensando che visto che non c’era più lui, dovevo proteggermi, essere pronto a qualsiasi evenienza. Sbagliavo. Avevo bisogno di tempo per crogiolarmi nel dolore, sentire la mancanza e poi lasciarlo andare”.

Un’ammissione di “colpa” molto coraggiosa, che pochi avrebbero avuto il coraggio di dichiarare con altrettanta spontaneità. Carlo dice che sentiva di essere in stand by e temeva che nessuno avrebbe più premuto il tasto play. Poi il coraggio di scrivere “Se io fossi in te insisterei”. “Dicono che l’elaborazione del lutto duri 7 anni: io ce ne ho messi 15. Ma mica è come per la prescrizione: gli anni cominciano a passare da quando cominci ad affrontarli”.

Poi, la domanda sul futuro: e ora che farai? “Sono a Radio 24 e sono felice, perché fare radio mi è sempre piaciuto. Dopo, non lo so. Questo libro è come un figlio e mi sento come una puerpera che ha appena partorito e qualcuno già le parla di un altro figlio. Mi viene solo da rispondere: adesso non riesco proprio a pensarci”.

Maria Teresa Camarda

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Maria Teresa Camarda
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