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Voto di scambio in Sicilia, il ruolo chiave di Giuseppe Bevilacqua

Il nuovo terremoto politico che ha coinvolto il Parlamento regionale siciliano, che ha portato all’arresto di quattro politici e un finanziere, aveva un protagonista principale al centro dell’inchiesta: Giuseppe Bevilacqua, primo dei non eletti alla carica di consigliere comunale a Palermo alle elezioni del 2012, oggi ai domiciliari per il reato di corruzione elettorale.

Bevilacqua, esponente del Pid, il partito di Saverio Romano, avrebbe gestito un pesante pacchetto di voti conquistato anche grazie ai suoi rapporti con esponenti di spicco del mandamento mafioso palermitano di Tommaso Natale. Ai boss, in cambio del sostegno, avrebbe promesso posti di lavoro. Ad alcuni politici avrebbe messo a disposizione le proprie preferenze chiedendo, come corrispettivo, favori, finanziamenti per le proprie associazioni, alcune di volontariato, incarichi professionali per sé e i suoi amici.

Per ottenere voti, acquisire consenso e guadagnare, approfittava anche del suo ruolo nella fondazione Banco Opere di Carità. Dall’indagine, che ha dimostrato che Bevilacqua chiedeva voti alla mafia in cambio di posti di lavoro e metteva a disposizione i suoi consensi, in cambio di incarichi per sé e i familiari, è emerso che l’indagato, dipendente Amat, vendeva i generi alimentari che avrebbe dovuto dare agli indigenti. Inoltre alcuni alimenti particolarmente costosi, come il parmigiano, era solito usarsi a fini personali o rivenderli ai ristoratori.

Il tutto è finito nelle intercettazioni della Finanza che indagavano sulla cosca di Tommaso Natale e si sono imbattuti nelle telefonate in cui Bevilacqua parlava con la moglie del capomafia Giuseppe Antonio Enea (per lui e per Calogero Di Stefano, già detenuti, il gip ha respinto la richiesta di misura cautelare avanzata dalla procura). A Enea Bevilacqua prometteva, tramite la consorte, di fare assumere il fratello e di fare avere alla cosca i soldi per la festa rionale di Marinella, un evento, a quanto pare, molto “sentito” dal clan.

I pm avevano chiesto la contestazione del reato di voto di scambio politico-mafioso, ma il gip non ha ritenuto che Bevilacqua, con la sua condotta, abbia avvantaggiato Cosa nostra e ha “preferito” la contestazione della corruzione elettorale. Stessa imputazione per Nino Dina e Roberto Clemente, rispettivamente deputati regionali dell’Udc e del Pid, che avrebbero potuto contare sui voti di Bevilacqua al quale avrebbero fatto avere incarichi e soldi per le sue associazioni. Analoghe le vicende imputate a Franco Mineo, ex parlamentare di Grande Sud già accusato di essere prestanome dei boss Galatolo del quartiere Acquasanta.

Ai domiciliari anche il finanziere Leonardo Gambino che avrebbe controllato, per conto di Bevilacqua, in cambio di un lavoro per un amico, se questi fosse indagato. L’aspirante consigliere, infatti, era preoccupato di essere tenuto sotto controllo. Ma le verifiche fatte dal finanziere, accusato di corruzione, non hanno dato risultati e Bevilacqua si era tranquillizzato. L’inchiesta è stata coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi e dai pm Amelia Luise, Francesco Del Bene e Annamaria Picozzi.

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