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La guerra in Siria e l’ambizioso ruolo della Russia

Il 29 e 30 ottobre si è svolto a Vienna un summit internazionale sulla Siria. Si incontravano il fronte pro-Assad, guidato da Russia ed Iran, ed il fronte occidentale, con il sostegno di paesi arabi sunniti – Arabia Saudita in testa. Clima di apparente distensione tra Lavrov e Kerry, ma le divergenze di fondo restano. La Russia – al contrario del fronte opposto – sembra avere una strategia politica chiara che pone al centro del futuro prossimo siriano la figura di Assad; è un nome ‘bruciato’ per gli occidentali che però non hanno un’alternativa.

Il summit di Vienna segue l’incontro a Mosca del 20 ottobre tra Assad e Putin. Un incontro ‘storico’ per il presidente siriano, prima visita internazionale dallo scoppio della guerra civile. ”Una soluzione in Siria può essere trovata: serve un processo politico che coinvolga tutti i gruppi religiosi ed etnici della società siriana”, ha commentato Putin a margine dell’incontro, “e la Russia è pronta a fare la sua parte non solo militarmente ma anche politicamente”. La Russia è in guerra in Siria da settembre: sostiene il dittatore siriano colpendo tutti i suoi nemici, sia l’Isis che i ribelli ‘filo-occidentali’. La Siria di Assad è uno storico alleato dei russi dai tempi della guerra fredda; questi ultimi mantengono da decenni una loro base navale a Tartus, città siriana sul Mediterraneo e quindi strategica per la presenza della flotta russa nell’area.

La presenza della Russia nel conflitto siriano è una manifestazione della strategia internazionale di Putin, che vuole riportare il proprio paese al ruolo di potenza globale, dopo una lunga pausa seguita al collasso dell’Unione sovietica: “Considero il modello unipolare non soltanto inaccettabile, ma anche impossibile nel mondo di oggi”, ha affermato Putin, aggiungendo che “nessuno può illudersi di raggiungere la superiorità militare sulla Russia; abbiamo i mezzi per rispondere a questa sfida”. Una strategia spregiudicata, che ha portato i rapporti con l’Occidente vicino ad un punto di rottura, dopo l’annessione della Crimea. E pesanti sono state anche le ripercussioni sul piano economico: le sanzioni dei paesi occidentali, americani in testa, contro società e banche russe hanno messo in difficoltà Mosca. Il calo del prezzo del petrolio ha ulteriormente aggravato la situazione.

Il Medio Oriente rappresenta quindi per Putin un’occasione politica, dopo il lungo periodo di assenza dalla scena regionale attraversata dalle guerre in Irak, la crisi iraniana e la primavera araba. Ed è anche un’opportunità per rafforzare relazioni economiche alternative a quelle con l’Occidente. Negli ultimi due anni il presidente egiziano al-Sisi ha incontrato il leader russo tre volte. Alla fine di agosto era di nuovo ospite del Cremlino; al centro dei colloqui l’irrobustimento dei rapporti economici e commerciali tra i due paesi e le possibilità di utilizzo di tecnologie russe; Putin ha tra l’altro annunciato la partecipazione russa alla costruzione di una centrale nucleare in Egitto. Ma i colloqui hanno toccato anche la questione siriana: “Abbiamo sottolineato l’importanza vitale di organizzare un fronte anti-terrore che includa i paesi chiave in medio oriente, tra i quali la Siria”, ha detto il leader russo. L’incontro bilaterale con gli egiziani è avvenuto nel quadro di un iniziativa diplomatica più vasta. Nello stesso periodo erano a Mosca anche il re di Giordania Abdullah e lo Sceicco Mohammad Bin Zayed degli Emirati Arabi Uniti. I due leader mediorientali hanno assistito a un air show insieme con il presidente russo, che ha dichiarato la firma di importanti accordi di cooperazione nel settore dell’aviazione civile e militare.

Il Cremlino ha svolto un ruolo significativo anche nel processo di distensione tra la comunità internazionale e l’Iran. In agosto è stato firmato a Ginevra l’accordo per uno sviluppo controllato del nucleare iraniano in ambito civile. Al tavolo dei negoziati sedeva la Russia, accanto ad americani, europei e cinesi. I russi avevano venduto tecnologie ed impiantistica agli iraniani anche durante il periodo di embargo americano ed a giugno avevano annunciato la vendita di sistemi missilistici S-300 all’Iran. Era quindi loro interesse continuare ed intensificare questi rapporti commerciali. L’Iran, storicamente in cattivi rapporti con Mosca secondo lo slogan degli ayatollah “Nè l’ovest, nè l’est”, aveva bisogno di un alleato  internazionale per riequilibrare i rapporti di forza durante i negoziati.  E la Russia ha interpretato questo ruolo, ricevendo anche il pubblico ringraziamento di Obama a seguito dell’esito positivo delle trattative. Ed in settembre la Rosatom, azienda statale russa nel settore nucleare, ha annunciato l’inizio entro l’anno delle attività di espansione del sito nucleare iraniano di Bushehr, costruito con tecnologia russa nel 2012.

Anche Israele, nemico ed avversario ideologico dell’Unione Sovietica, ha oggi rapporti meno tesi con il Cremlino. Contribuisce a questo la numerosa diaspora, oltre un milione di persone, proveniente da paesi del disciolto blocco sovietico ed intensificatasi negli negli ultimi vent’anni. Avigdor Lieberman, ex ministro degli esteri di Israele, è nato in Moldavia, parla il russo ed è arrivato a Gerusalemme nel 1978. Ha incontrato Putin a più riprese, durante il suo incarico di governo.

Il 21 settembre il primo ministro Netanyahu e il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano erano a  Mosca. ”Sono venuto”, ha affermato il leader israeliano ”per evitare che vi siano incidenti fra le forze armate israeliane e quelle russe in Siria”. Israele vuole tenersi fuori dal conflitto, ma teme la presenza in Siria del gruppo libanese Hezbollah, che combatte al fianco di Assad; gli israeliani non vogliono che vengano  trasferiti in Libano armamenti avanzati: il confine israelo – libanese è stato un fronte caldo in passato. Fonti militari israeliane hanno definito l’incontro come “molto concreto”, affermando che i due paesi si sono  accordati su un meccanismo per evitare incidenti sui cieli siriani.

Intanto, a margine del summit di Vienna, Obama ha deciso di mandare in Siria dei reparti speciali. Il conflitto continua.

Giuseppe Citrolo

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Giuseppe Citrolo
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