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Usa, Donald Trump e la guerra interna nel Gop | La travolgente corsa ad ostacoli del magnate

Trump ha archiviato trionfalmente le primarie repubblicane. Il ritiro degli avversari più appoggiati dall’establishment del partito Repubblicano, Jeff Bush e Marco Rubio, è ormai un fatto storico. L’ultimo a gettare la spugna è stato Ted Cruz, un ultraconservatore che sarebbe stato visto con sospetto dai leader repubblicani in altri tempi, ma che ha rappresentato per loro una possibile ancora di salvezza contro Trump.

Adesso Trump ha due problemi da risolvere. Il primo è assicurarsi l’appoggio del partito e dei grandi elettori repubblicani, indispensabili per continuare una campagna elettorale che richiederà fondi enormi per mantenere un adeguato livello di visibilità sino al voto. Il secondo è battere Hillary Clinton.

Alcuni analisti americani osservano che la Clinton è l’avversario perfetto per Trump, una sorta di “Democratico in limousine”,  da attaccare per la sua vicinanza all’establishment politico–finanziario americano. Trump avrebbe la possibilità di calcare sulla sua figura di indipendente a favore della gente comune.

Ma, nonostante queste considerazioni,  le previsioni danno la Clinton in netto vantaggio: gli ultimi sondaggi della CNN le assegnano il  55% delle preferenze contro appena il 40% al suo avversario.

Un elemento che certamente influirà sul risultato è la crescita del numero degli elettori non-bianchi; saranno 65 milioni cioè il 31% del totale nel 2016, il 2% in più rispetto al 2012. 

In questa fascia elettorale Trump registra solo il 14% dei consensi, contro lo 81% della Clinton. Trump si trova in una posizione peggiore dei precedenti candidati repubblicani, McCain e Romney, che ebbero rispettivamente il 19 e il 17%  nelle elezioni in cui furono battuti da Obama. Se Trump non riuscirà a guadagnare punti tra i non-bianchi, “avrà bisogno del 65% dei voti dell’elettorato bianco” osserva Dan Balz, del Washington Post, ” una percentuale che soltanto Donald Reagan ha raggiunto nella sua vittoria straripante del 1984”.

Trump va male anche tra i giovani elettori. Nella fascia di età tra i 18 e i 29 anni, può contare solo sul 25% dei voti, secondo i sondaggi dello Harvard University Institute of Politics. La Clinton sarebbe al 61%. McCain, il peggiore di sempre tra i repubblicani, era al 32%.

In una situazione così scoraggiante, che armi ha Trump per rovesciare i risultati? Trump ha costruito la sua vittoria nelle primarie solleticando il sentimento razzista verso le minoranze di colore, ispano-americana e i musulmani; così, osserva Tom Edsall del New York Times: “Più forti in un elettore sono i sentimenti contro le minoranze non-bianche e la professione di etnocentrismo bianco, più alta è la possibilità di un appoggio a Trump”. I risultati della sua scarsissima popolarità tra le minoranze e tra l’elettorato giovane, per sua natura più idealista ed aperto, ne sono una diretta conseguenza.

Quindi, a meno di un impensabile balzo nei consensi delle minoranze e dei giovani, c’è un sola strada che gli analisti vedono per lui percorribile: cercare di ostacolare il loro voto.

Questa tattica potrebbe suonare negativa ed antidemocratica, ma non è nuova; si tratta di un cavallo di battaglia del partito repubblicano: in 17 Stati a guida repubblicana sono stati adottati dei regolamenti “restrittivi” sulle condizioni di accesso al voto per la prima volta nel 2016.

L’accesso al voto negli Stati Uniti non è infatti regolato da una legge federale, ma dai regolamenti dei singoli Stati; non esiste un “certificato elettorale” distribuito a tutti gli aventi diritto ed è generalmente il cittadino che deve farsi parte attiva e presentare documenti in regola per iscriversi alle liste elettorali o per votare. 

Le restrizioni consistono quindi in una regolamentazione più burocratica per ottenere l’accesso al voto. Ne risultano generalmente sfavorite le fasce elettorali meno esperte o culturalmente meno avanzate, tradizionalmente i nuovi votanti e le minoranze etniche.

Molti repubblicani ammettono che questi regolamenti favoriscono il loro Partito; dice Glenn Grothman, deputato repubblicano del Wisconsin: “Penso che la Clinton sia la più debole candidata democratica di sempre. Adesso noi chiediamo la carta di identità con la foto e anche questo farà un po’ di differenza”. Aggiunge Jim DeMint, Presidente della Heritage Foundation, un istituto lobbistico di orientamento Repubblicano : ”È qualcosa su cui stiamo lavorando in tutto il paese; in effetti, negli Stati che regolamentano i documenti per l’accesso al voto, i risultati tendono a cambiare in favore di candidati più conservatori”.

Trump si è in passato lamentato delle difficoltà di accesso al voto ed aveva pubblicamente accusato il Partito di non aver lasciato votare i suoi figli alle primarie di New York. Gli è stato chiesto quindi se fosse generalmente a favore di leggi che rendano più semplice l’accesso alle urne. “Non si puo’ generalizzare” ha risposto “devi essere un cittadino per votare, che sia con un documento d’identità o altro. Ci sono posti dove semplicemente entri e voti”.

Degli studi hanno mostrato che le restrizioni potrebbero ridurre il numero dei voti del 2-3% , colpendo sopratutto le fasce dei giovani elettori e gli afro-americani. Questo potrebbe non essere sufficiente per Trump; ma potrebbe comunque provare a giocare questa carta, incitando i suoi contro il voto “irregolare”.

Giuseppe Citrolo

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Giuseppe Citrolo
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