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Alla Casa Bianca andrà Clinton o Trump? | Qualcosa è cambiato nella politica USA

I risultati pressoché certi delle primarie statunitensi offrono diversi spunti di riflessione riguardo alle evoluzioni sperimentate negli ultimi anni dalla vita politica del Paese e ai loro possibili sviluppi. Il successo di Hillary Clinton sul fronte democratico e di Donald Trump in quello repubblicano mette, infatti, in luce una serie di punti la cui importanza va oltre il ‘semplice’ esito della competizione in corso. Dagli esiti del voto del prossimo novembre non dipenderanno solo le risposte immediate che Washington potrà dare alle molte questioni che affollano il tavolo dello Studio Ovale. Da essi dipenderà soprattutto la postura che il Paese assumerà nei prossimi quattro anni in uno scenario internazionale in costante (e spesso tumultuoso) cambiamento.

La prima osservazione riguarda la natura della campagna elettorale, che vari osservatori hanno identificato come ‘anomala’. A differenza di quanto accaduto in passato, sia sul fronte repubblicano sia su quello democratico i candidati più accreditati all’inizio della competizione o sono usciti di scena abbastanza presto o hanno dovuto faticare assai più del previsto per affermarsi. Il favore degli elettori ha premiato soprattutto due outsider come Bernie Sanders e Donald Trump, che, seppure in maniera antitetica, sono riusciti a dare voce all’insoddisfazione che anche negli Stati Uniti esiste intorno verso la politica ‘tradizionale’, i suoi esponenti e le sue agende. Per certi aspetti, la concretizzazione – in forma estremizzata e sovente paradossale – dell’aspirazione di cambiamento che aveva sostenuto l’elezione di Barack Obama nel 2008.

La seconda osservazione riguarda i possibili risultati di un confronto Clinton-Trump. Il grado di incertezza dei sondaggi (dapprima largamente in favore dell’ex Segretario di Stato) è cresciuto insieme ai successi del tycoon newyorchese in campo repubblicano. Il grado di incertezza è, quindi, notevole. Gli osservatori europei hanno mostrato da tempo di vedere con maggiore favore un successo finale del candidato democratico; questo più che altro per una forma di ostilità epidermica per gli atteggiamenti del suo rivale e per il suo modo di porsi, considerato la quintessenza di ciò che l’Europa rimprovera agli Stati Uniti. Di contro, difficilmente un successo di Hillary Clinton si tradurrà nell’auspicato riavvicinamento fra le due sponde dell’Atlantico, ormai divise da percezioni sempre più distanti dei rispettivi interessi e delle rispettive paure.

Come accaduto nel 2008, il rischio, nell’interpretare l’attuale campagna presidenziale, è di confondere gli auspici con la realtà delle cose. L’elezione di Barack Obama è stata a suo tempo salutata come l’occasione per ‘rilanciare’ un rapporto transatlantico messo in crisi (si diceva) dalle politiche ‘unilateraliste’ di George W. Bush. Il fatto che tale attesa non si sia con concretizzata concorre in larga misura a spiegare le critiche oggi rivolte a un’amministrazione forse sopravvalutata fin dall’inizio. Negli ultimi otto anni, il divario politico che separa l’Europa dagli Stati Uniti si è ulteriormente allargato. In questa luce, sarebbe quindi quanto meno illusorio attendersi che i risultati dell’8 novembre possano davvero invertire il corso profondo di questo processo.

Il tema è stato al centro di una tavola rotonda organizzata da ANDE Palermo e Inner Wheel Palermo Centro con il patrocinio dell’Alumni Cattolica – Associazione Necchi Gruppo Sicilia.

Gianluca Pastori 
Professore associato di Storia delle relazioni politiche fra il Nord America e l’Europa, Facoltà di Scienze Politiche e Sociali, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano

Gianluca Pastori

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Gianluca Pastori
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