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Cercasi nuovi leader dopo il voto su Brexit | Theresa May ora è la favorita per Downing Street

Com’era prevedibile, il voto britannico in favore dell’uscita dall’Europa ha causato un terremoto politico a Londra. Il premier Cameron si è dimesso e si è aperta la lotta tra i Tories per la successione. Il nuovo leader avrà il compito non invidiabile di guidare le negoziazioni per l’uscita dall’Unione Europea. Non sarà Boris Johnson, il più noto ‘separatista’ tra i conservatori, che ha preso atto di non poter contare sui suoi alleati di partito del fronte “Brexit” e ha fatto un passo indietro. Nel partito laburista, il mandato di Corbyn sembra agli sgoccioli: sfiduciato dai suoi, non dovrebbe reggere a lungo nella sua ostinazione di mantenere la leadership del Labour. Nick Farage si è dimesso a sorpresa dalla presidenza dell’UKIP, dichiarando di avere compiuto la sua missione e di non essere un politico di professione.

In questi giorni convulsi, così pieni di colpi di scena, mentre la politica cerca di darsi nuovi leader e prendere tempo per avere un’idea chiara di come gestire la Brexit, la impressione diffusa è proprio questa: il fronte del “leave”, apparentemente così abile a “leggere” la diffidenza della gente verso l’immigrazione e verso Bruxelles, è stato colto di sorpresa dal successo e non ha un piano concreto su come procedere.

Ci si poteva aspettare che Johnson, sulle ali di un successo clamoroso, prendesse le redini del partito e della politica britannica, e andasse deciso a sedersi al tavolo dei negoziati. O che Farage, il vincitore morale di questo referendum, martellasse da una posizione di forza l’establishment politico per una rapida e decisa applicazione della volontà popolare. Ma le cose stanno andando diversamente.

Farage ha deciso di dimettersi dall’Ukip dopo 10 anni di impegno politico per “una Gran Bretagna che riprendesse il controllo”, a suo dire ceduto alle elites e ai burocrati di Bruxelles. Ha dichiarato in una recente seduta del Parlamento Europeo che avrebbe tenuto il seggio quando “il lavoro fosse finito”, in uno scambio di battute con Juncker, che gli chiedeva “perché fosse ancora lì’’. Ha anche detto di essere pronto a mettersi al servizio di altri movimenti separatisti in Europa, “certo di non avere visto l’ultimo Paese che vuole lasciare l’Unione Europea”. Potrebbe essere questo il suo ruolo politico futuro, una sorta di padre nobile del separatismo in Europa. Una strategia per capitalizzare il suo successo nel referendum britannico, che lo consegna ai libri di storia. Ma anche un disimpegno sul piano della politica interna, ove il suo partito non è mai riuscito a “sfondare”; oggi l’UKIP detiene un solo seggio nel Parlamento di Londra. E l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa sarà un percorso lungo e, nella sostanza, ancora tutto da verificare.

Johnson è stato “usato” dai suoi alleati tories del Leave. La sua popolarità, conquistata con la sapiente e disinvolta gestione dell’immagine personale da Sindaco di Londra, ha prestato al fronte Brexit un volto noto. Ma dietro le quinte, erano molti i dubbi sulla sua capacità di gestire la vittoria. Michael Gove, ministro del governo Cameron, ha deciso quindi di candidarsi alla guida del partito, “tradendo” la fiducia di Boris con un clamoroso voltafaccia. I Brexit si presentano divisi per la leadership, a tutto favore di Theresa May. E’ lei, del fronte del Remain, ad avere le maggiori chances di successo per Downing Street.

E adesso Johnson, silurato dai suoi amici di partito, critica il Governo per non avere un piano per far funzionare la Brexit. Ha scritto sul Daily Telegraph che il blocco del Remain è stato preso da una sorta di “isteria” e che il Governo avrebbe dovuto spiegare la verità sull’impatto del Brexit.

“C’è, in una parte della popolazione, una sorta di isteria, di cordoglio contagioso che ricorda il 1997 dopo la morte di Lady Diana – ha scritto Johnson -. E’ stato un errore del Governo offrire al popolo la scelta di lasciare l’Unione Europea , senza la volontà di spiegare come questa potrà funzionare nel migliore interesse della Gran Bretagna e dell’Europa. Non possiamo aspettare sino a metà Ssttembre e un nuovo Primo Ministro.”

Un errore del Governo indire il Referendum senza un chiara rotta di uscita, ed un errore dei “Leave” non averla elaborata nei mesi di campagna referendaria.

Giuseppe Citrolo

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Giuseppe Citrolo
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