Referendum Jobs Act, “quesito inammissibile” | Per l’Avvocatura è manipolatorio e propositivo

di Redazione

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Referendum Jobs Act, “quesito inammissibile” | Per l’Avvocatura è manipolatorio e propositivo

| giovedì 05 Gennaio 2017 - 18:32

Secondo l’Avvocatura dello Stato, il quesito referendario per abrogare le modifiche apportate con il Jobs Act all’art. 18 dello statuto dei lavoratori sui licenziamenti ha “carattere surrettiziamente propositivo e manipolativo” e per questo “si palesa inammissibile”.

La memoria depositata oggi per conto della Presidenza del Consiglio arriva in vista della decisione della Corte Costituzionale sull’ammissibilità dei referendum sul lavoro. Il quesito referendario sull’art.18, “proponendosi di abrogare parzialmente la normativa in materia di licenziamento illegittimo, di fatto la sostituisce con un’altra disciplina assolutamente diversa ed estranea al contesto normativo di riferimento”.

“Disciplina che il quesito ed il corpo elettorale non possono creare ex novo, né direttamente costruire”. Il quesito punta a estendere i vincoli al licenziamento “previsti dall’art.18 a tutte le aziende con più di 5 dipendenti”. Nell’articolo 18 l’ambito di applicazione della tutela reale viene stabilito differenziando a seconda che il datore di lavoro occupi più di 15 o più di 5 dipendenti: la disposizione contiene due regole speciali, la prima vale per le organizzazioni diverse dalle imprese agricole, la seconda solo per le imprese agricole”.

Invece “l’intento dei promotori del referendum – rileva l’Avvocatura – è quello di produrre una norma (la tutela reale per tutti i datori di lavoro con più di 5 dipendenti) che chiaramente estrae il limite dei 5 dipendenti, previsto per le sole imprese agricole, per applicarlo a tutti i datori di lavoro, a prescindere dal tipo di attività svolta”.

Ma “secondo costante giurisprudenza costituzionale in tema di referendum abrogativo, non sono ammesse tecniche di ritaglio dei quesiti che utilizzino il testo di una legge come serbatoio di parole cui attingere per costruire nuove disposizioni“. In sostanza, l’eventuale esito positivo della consultazione condurrebbe ad una condizione di incertezza normativa”.

La memoria si sofferma sull’art.29 del decreto legislativo 276/2003 per cui è stato chiesto il referendum. La disposizione assume un carattere “speciale” rispetto all’art. 1676 del codice civile su diritti degli ausiliari dell’appaltatore verso il committente. Una loro abrogazione “porrebbe il problema del coordinamento tra le due disposizioni che (in caso di esito positivo del referendum), lungi dal porsi in rapporto di specialità, si limiterebbero a regolare la stessa fattispecie della prestazione lavorativa”.

Secondo l’Avvocatura, “l’eventuale esito positivo della consultazione condurrebbe, dunque, ad una condizione di incertezza normativa”. Inoltre “una eventuale modifica della disciplina nel senso del quesito referendario, avrebbe, come ulteriore effetto, quello di incidere sulla regolamentazione delle vicende negoziali in essere al momento della modifica normativa”.

“L’ammissibilità la stabilisce la Corte costituzionale, che è autonoma e competente. Per quanto riguarda il quesito, non manipola alcunché. Non è propositivo né manipolativo, è un quesito abrogativo: la risultante è una norma esistente”. Questa la posizione della Cgil.

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