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Trump, tutte le “spine” della sua politica estera

L’inaspettata vittoria elettorale di Donald Trump ha scioccato e preoccupa molti nel mondo. Trump, presidente populista ed anti-establishment, porta infatti alla Casa Bianca un’enorme incertezza sui suoi orientamenti in politica internazionale; ne ha parlato poco durante la campagna elettorale, se non per affermare la propria ammirazione per Putin, criticare gli alleati europei come viaggiatori a sbafo nella Nato e indicare nella Cina una minaccia per l’economia americana.

Gli uomini di cui si è circondato, e che materialmente dovranno occuparsi di politica estera nella sua amministrazione, costituiscono una curiosa miscela eterogenea; a personaggi del mainstream politico ed internazionale, come il segretario alla difesa James Mattis e quello di stato Rex Tillerson, entrambi uomini di posizioni moderate e con buona esperienza all’estero, si uniscono esponenti della destra americana più conservatrice e chiusa, come il neo direttore della Cia Mike Pompeo e il consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn, che considerano l’Islam un nemico dell’America.

Ma quali potrebbero essere, nei diversi scacchieri internazionali, le politiche dell’amministrazione Trump? Facciamo qualche ipotesi, sulla base delle sue dichiarazioni e degli uomini che ha nominato ai posti chiave. Nei confronti del vicino messicano, ci sono pochi dubbi su un approccio duro: la ricetta di Trump contiene elementi quali la deportazione di masse di clandestini bollati come criminali, la costruzione di un muro al confine, la pressioni sulle aziende americane che hanno investito in Messico per riportare in patria posti di lavoro. Gli alleati europei hanno reagito con panico ai segnali di Trump, le sue aperture a Putin e i suoi attacchi alla Nato e Bruxelles; sia Juncker che la Merkel hanno polemizzato con il neoeletto presidente americano. Il problema vero è che l’Europa ha sempre esitato su un forte coordinamento della Difesa comune; questo tema dovrebbe finalmente essere risolto, se l’alleato americano dovesse ridurre le proprie risorse in ambito Nato.

La priorità di Trump in Europa sembra essere la distensione con la Russia, con posizioni necessariamente diverse su Ucraina, Siria e lotta al terrorismo islamico; l’appoggio al fronte orientale della Nato potrebbe risultarne indebolito. Sembra poi intenzione della nuova amministrazione rilanciare la storica partnership con la Gran Bretagna del dopo Brexit, un segnale di discontinuità con l’amministrazione Obama, che appoggiava fortemente l’unità europea. Nella polveriera mediorientale dovrebbe essere riaffermata la centralità dell’alleanza con Israele, dopo anni tempestosi di tensioni fra Obama e Netanyahu.

E’ possibile che l’America abbandoni la soluzione dei due stati, quello israeliano e quello palestinese, ed abbia una posizione tollerante sulla costruzione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Potrebbero essere rafforzate le relazioni con alcuni autocrati arabi della regione come Al-Sisi in Egitto, Assad in Siria e le monarchie del golfo, in nome di un fronte comune anti-Isis. L’lran potrebbe ripiombare in uno stato di isolamento, se Trump darà seguito alle sue parole, interrompendo il processo di cauta apertura economico-diplomatica del suo predecessore; è improbabile comunque che Trump arrivi a rinnegare il faticoso accordo sul nucleare iraniano del 2015. In Asia Trump ha preoccupato sudcoreani e giapponesi dichiarando in campagna elettorale che i loro paesi dovrebbero imparare a difendersi da soli. Intanto Trump ha appena firmato per l’abolizione del trattato commerciale TPP. Però è su questi paesi che Trump deve puntare per arginare la Cina, il suo grande rivale economico e militare; è probabile quindi che la politica asiatica differisca poco da quella di Obama: intensi rapporti in chiave anti-Pechino con i paesi dell’area, quali India, Giappone, Filippine, Vietnam e Australia, sarebbero una logica conseguenza del Trump-pensiero su quest’area del mondo.

Giuseppe Citrolo

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