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La Birmania e il dramma dei musulmani rohingya | Perseguitati, decimati e costretti all’emigrazione

La Birmania è un paese a maggioranza buddhista del sud est asiatico. Negli ultimi anni ha vissuto un importante rinascita politica ed economica. Purtroppo però, contemporaneamente, nella regione di Rakhine, sono scoppiate gravi violenze intercomunitarie fra la maggioranza buddhista e una minoranza etnica di fede musulmana, i rohingya. In questa regione, negli ultimi giorni, il governo birmano ha evacuato almeno 4000 contadini buddhisti in un contesto di violenti scontri, mentre migliaia di rohingya sono fuggiti nel confinante Bangladesh.

In tutto 98 persone sono morte da venerdì 25 agosto negli scontri tra miliziani islamici ed esercito birmano; di queste 80 erano militanti rohingya e 18 soldati birmani. Questi scontri, i peggiori dall’ottobre 2016, hanno spinto il governo birmano ad evacuare i propri funzionari e migliaia di non musulmani dalla zona. Sabato 26 agosto è stato un giorno particolarmente sanguinoso, con violentissimi scontri fra ribelli ed esercito soprattutto intorno alla città di Maungdaw.

Il trattamento da parte del governo birmano dei musulmani rohingya, che sono circa un milione, è emerso come la più grande sfida per la leader nazionale Aung San Suu Kyi. Il 25 agosto ha prontamente condannato i raid dei miliziani islamici che, armati soprattutto di fucili e rudimentali bombe a mano hanno assaltato 30 stazioni di polizia e una base dell’esercito. La leader birmana, vincitrice del premio Nobel per la pace, è stata accusata da alcuni critici occidentali di non aver difeso in nessun modo la a lungo perseguitata minoranza musulmana, e di aver appoggiato in vari discorsi pubblici le brutali controffensive dell’esercito governativo.

Win Myat Aye, ministro birmano per gli affari sociali, ha affermato la sera del 26 agosto che 4000 residenti non musulmani, che erano fuggiti dai propri villaggi, erano stati evacuati. Il suo ministero sta organizzando la loro accoglienza in monasteri buddhisti, stazioni di polizia e uffici governativi nelle principali città del paese. ”Stiamo dando cibo a chi ne ha bisogno in cooperazione con le autorità locali” ha aggiunto Aye in una conferenza stampa.

Nella stessa conferenza stampa, non ha però detto nulla su eventuali piani del governo birmano per aiutare i civili rohingya anch’essi in fuga, limitandosi a dichiarare: ”Si tratta di una situazione di conflitto. È difficile dire chi abbia ragione o torto”. Presi dal panico, i residenti della regione di Rakhine, soprattutto i non musulmani abitanti in aree miste, si sono armati di bastoni e coltelli per difendersi.

Molti sono rimasti bloccati nei loro villaggi situati in aree a maggioranza islamica mentre gli scontri continuavano e alcune strade erano state minate. Ecco la testimonianza di un giornalista locale, datata domenica 27 agosto: ”Gli scontri sono continuati ieri tutto il giorno sulle strade principali, ci sono molte mine. Intanto i prezzi del cibo stanno salendo vertiginosamente giorno dopo giorno”.

Secondo le guardie di confine bengalesi, negli ultimi giorni migliaia di rohingya, soprattutto donne e bambini, hanno attraversato  il fiume Naf, che segna il confine fra Birmania e Bangladesh. Secondo stime del ministero degli esteri bengalese, da venerdì 25 agosto almeno 2000 rohingya sono arrivati nei campi profughi sul lato bengalese della frontiera. È dall’inizio degli anni novanta che i rohingya lasciano la Birmania per il Bangladesh; ormai oltre 400.000 di loro vivono in squallidi campi profughi oltreconfine.

In questo tragico contesto, è della mattina di lunedì 28 agosto la notizia che a novembre Papa Francesco compirà un viaggio apostolico proprio in Birmania e Bangladesh; si spera che il più autorevole leader spirituale del pianeta, pur trattandosi di un conflitto fra comunità non cristiane, riesca almeno ad alleviare le tensioni.

Giuseppe Citrolo

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Giuseppe Citrolo
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