Usa, non solo “tycoon”: ecco il volto moderato di Trump

di Giuseppe Citrolo

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Usa, non solo “tycoon”: ecco il volto moderato di Trump

| giovedì 01 Febbraio 2018 - 15:24

Il 30 gennaio 2018, davanti ai membri del senato e della camera dei rappresentanti riuniti in sessione plenaria, il presidente Usa Donald Trump ha pronunciato l’annuale discorso sullo stato dell’Unione. È stato un discorso che ha ricevuto un buon consenso fra gli ascoltatori statunitensi; da un lato è stato un Trump sorprendente per la moderazione nei toni su molti temi, dall’altro in certi passaggi è riemerso il tono combattivo da campagna elettorale permanente tipico di questa presidenza.

Per quanto riguarda la politica estera Trump ha messo in chiaro di considerare il terrorismo jihadista e lo sviluppo di armi nucleari da parte della Corea del Nord come le più grandi minacce alla sicurezza degli Stati Uniti; non ha però fornito indicazioni coerenti su come la propria amministrazione intenda affrontare questi due gravi problemi. Peraltro queste affermazioni sono in contraddizione con la National Security Strategy rilasciata dalla stessa amministrazione Trump qualche settimana fa; in essa infatti si affermava che la più grande minaccia per gli Usa sono attualmente i due rivali strategici Cina e Russia, nazioni appena brevemente menzionate da Donald Trump nel discorso.

Le uniche altre due nazioni estere di cui Trump ha parlato sono state Israele e l’Afghanistan, paese in cui ha deciso di aumentare il personale militare americano; nessuna menzione degli importanti alleati che l’America ha in giro per il mondo, dal Regno Unito alla Francia, dal Giappone all’Australia. Sul commercio internazionale il presidente ha ribadito le proprie posizioni abbastanza populiste affermando che “Decenni di accordi commerciali iniqui sono giunti al termine”.

In politica interna, Trump ha innanzitutto rivendicato i risultati economici raggiunti dal paese sotto la propria guida, con i numeri record di Wall Street ed un tasso di disoccupazione ai minimi storici, senza ovviamente menzionare il fatto che la ripresa era cominciata già negli ultimi anni della presidenza Obama. Poi ha parlato di immigrazione in termini abbastanza contraddittori, visto che da un lato ha aperto ad un accordo con i democratici sul destino dei “dreamers” e su una riforma generale del sistema legale statunitense in materia, ma dall’altro ha affermato duramente di dover dare la priorità ai problemi dei cittadini americani e ha fatto un collegamento esplicito fra flussi migratori e criminalità, citando il caso delle violente gang provenienti dal Centroamerica.

Non ha menzionato affatto il problema del cambiamento climatico, lodando al contrario l’industria americana dell’energia per la raggiunta autosufficienza del paese in questo campo e per il fatto che gli Stati Uniti, grazie alle innovative tecniche del fracking, sono tornati ad essere il primo produttore di petrolio al mondo. Infine, ha dedicato parte del discorso ad un dramma sociale diffusissimo in America, quello della dipendenza da eroina ed altri oppiacei. Ha lodato Ryan Holets, un poliziotto del New Mexico e sua moglie Rebecca, che hanno deciso di adottare un bambino da una coppia di tossico dipendenti senzatetto, come simbolo di eroismo americano ed esempio dell’approccio che le forze dell’ordine statunitensi dovrebbero avere di fronte al problema della droga.

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