Aldo Moro, 40 anni dalla tragedia che cambiò l’Italia

di Rosanna Pasta

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Aldo Moro, 40 anni dalla tragedia che cambiò l’Italia

| mercoledì 09 Maggio 2018 - 10:11

Ricorre oggi il 40esimo anniversario del ritrovamento del corpo dell’onorevole Aldo Moro, in una Renault 4 rossa in via Caetani, a Roma. Era il 9 maggio 1978, una data che rimane impressa nelle mente di ogni italiano, sia di chi ha vissuto quegli anni scossi dall’attività delle Brigate Rosse, che di chi lo ha sentito raccontare. La morte del presidente della Democrazia cristiana venne annunciata da una telefonata del brigatista Valerio Morucci al professor Francesco Tritto, assistente di Moro.

Oggi la politica e le istituzioni hanno reso omaggio alla memoria dello statista. E là dove, 40 anni fa, era parcheggiata la Renault rossa con il suo cadavere, le più importanti cariche dello Stato si sono recate per deporre una corona alla targa che ricorda l’evento.

La strage di via Fani

Tutto iniziò con la strage di via Fani, tra via Trionfale e via della Camiluccia a Roma. Il 16 marzo 1978, il presidente Aldo Moro si stava recando alla Camera dei deputati, dove quella mattina era previsto il voto di fiducia per il quarto governo presieduto da Giulio Andreotti. Ma il presidente della Dc non ci arrivò, né la sua scorta. L’auto su cui viaggiava Moro venne fermata da un numero non ancora precisato di brigatisti e in soli 3 minuti vennero sparati più di 100 colpi. Gli uomini della scorta – Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi – morirono tutti. Moro invece venne prelevato e spostato su una Fiat 132 blu. Da allora iniziarono i 55 giorni che lasciarono l’Italia con il fiato sospeso, fino all’annuncio della morte.

Gli omaggi della politica

In quell’angolo del Ghetto di Roma, ormai noto a tutti, questa mattina hanno deposto la corona Sergio Mattarella e i presidenti di Camera e Senato, Roberto Fico e Maria Elisabetta Alberti Casellati. Con loro il premier uscente, Paolo Gentiloni, il presidente della Regione Lazio Zingaretti e la sindaca, Virginia Raggi.

A usare i termini più dirompenti (e più puntuali) per descrivere una tragedia ancora ombrosa è stato proprio Gentiloni che ha affidato a Twitter un ulteriore omaggio alla memoria di Aldo Moro. Per il presidente del Consiglio, l’uccisione dello statista “pesa sulla coscienza della Repubblica”. Difficile non concordare.

La difficile trattativa

Il gruppo terroristico delle Brigate Rosse non tardò a rivendicare il sequestro. “Questa mattina – scrissero all’Ansa – abbiamo sequestrato il presidente della Democrazia cristiana, Moro, ed eliminato la sua guardia del corpo, teste di cuoio di Cossiga. Seguirà comunicato. Firmato Brigate rosse“. Da quel momento iniziò un periodo buio nella storia d’Italia: Roma venne blindata, il paese si divise tra chi voleva trattare con i terroristi e chi si oppose. Presto seguirono altri comunicati da parte delle Brigate Rosse, in tutto furono 9 in quei 55 giorni di fiato sospeso, in uno si leggeva la motivazione del sequestro: “Chi è Aldo Moro è presto detto: dopo il suo degno compare De Gasperi, è stato fino a oggi il gerarca più autorevole, il teorico e lo stratega indiscusso di questo regime democristiano che da trenta anni opprime il popolo italiano”. Era il primo comunicato, diffuso il 18 marzo.

La condanna di Moro

Con il resto dei comunicati dei brigatisti e le 86 lettere inviate dallo stesso Moro, in cerca di una trattativa per la salvezza, l’Italia si divise ancora di più. A nulla servirono le richieste del presidente rapito ad amici, familiari, parenti, colleghi e allo stesso papa Paolo VI – suo amico personale – per favorire il rilascio. Nel comunicato numero 8, i brigatisti proposero uno scambio: il dissequestro di Moro in cambio della liberazione di alcuni terroristi in carcere in quel momento. Fu il momento più difficile per l’Italia. Da un lato la Democrazia Cristiana, i socialdemocratici, i repubblicani e liberali che escludevano ogni forma di trattativa che avrebbe dato un riconoscimento politico alle Brigate Rosse, dall’altro i possibilisti con in testa il socialista Craxi. E il comunicato numero 9, l’ultimo, fu quello decisivo, quello che firmò la sentenza di morte di Moro a causa dello Stato, “colpevole” di non aver accettato lo scambio proposto.

Il ritrovamento del corpo

“Lei deve comunicare alla famiglia che troveranno il corpo dell’onAldo Moro in via Caetani. Lì c’è una Renault 4 rossa. I primi numeri di targa sono N5″. Sono state queste le parole con cui Morucci avvisò Tritto in una telefonata del 9 maggio 1978. Fu la fine del compromesso storico, l’accordo voluto proprio dal presidente delle Democrazia cristiana con il Partito comunista. Iniziarono i processi ai brigatisti, che rimasero convinti di portare avanti una guerra giusta e si dichiararono prigionieri politici davanti ai giudici.

Quei misteriosi 55 giorni

Rimangono ancora molti misteri sui 55 giorni di sequestro di Aldo Moro. Non si conosce ancora bene il luogo in cui fu tenuto prigioniero, per esempio, anche se i brigatisti raccontarono di averlo lasciato sempre nello stesso appartamento di via Montalcini 8, nel quartiere Portuense. Di contro si è ipotizzato che il presidente sia stato spostato in diverse zona della città, più isolate e vicine alla costa ma non c’è mai stata una conferma da testimonianze e interrogatori.

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