The Wife, l’oscuro mondo del compromesso

di Fabrizio Hopps

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The Wife, l’oscuro mondo del compromesso

| mercoledì 24 Ottobre 2018 - 10:41

The Wife – Vivere nell’ombra è un film di genere drammatico. Nel vero senso del termine, quale vicenda caratterizzata da elementi penosi e difficili.

E nessuno dei protagonisti esce fuori da questi canoni. E la grande donna che sta sempre dietro ad un grande uomo, questa volta è una piccola donna che sta dietro ad un uomo piccolissimo, quasi inesistente.

Volendo sorvolare sul singolare, ma non inedito, “fatterello” dello scrittore poco capace che ha dietro di sé e della sua grande carriera una grande ghostwriter, che alla fine si ribella e lo fa schiattare sul più bello, forse è più interessante soffermarsi sulla capacità di Jane Anderson, la sceneggiatrice, e del regista, Björn Runge, di tracciare il più sordido fra i percorsi di vita sbagliata che farebbe impallidire persino quella di Olindo e Rosa, che almeno hanno l’alibi della infermità mentale e della vacatio mentis.

Il film può rappresentare il manifesto del 2018 contro l’emancipazione femminile. Mai donna venne tratteggiata in modo peggiore. E Glenn Close poteva esserne l’unica interprete, perché nel bene e nel male, il suo profilo sia fisico che interpretativo riconduce alla lettura degli inferi dell’inconscio.

L’oscuro mondo del compromesso, trave portante dell’universo coppia sposata, sempre langue e laido, viene enormizzato con l’inserimento dello stesso in un contesto di altissimo livello culturale e sociale: ciò rende lo stesso oscuro mondo non più comprensibile né accettabile, e da langue e laido si trasforma in penoso e a tratti ridicolo.

Soltanto la verticistica interpretazione di due animali da teatro ha potuto rendere minimamente credibile il soggetto, che altrimenti avrebbe dato l’impressione di uno scherzo da parte degli autori intenzionati a stabilire il limite della capacità dello spettatore di ingoiare tutto, anche l’inverosimilmente ridicolo.

Le chiavi di lettura naturalmente rimangono, come da gran mestiere di produttori e registi, illimitate e ad ogni interpretazione, di critici e parlatori solo in pubblico, si vedono gli autori e chi ci ha messo i quattrini annuire come le scimmiette sorridenti e furbe.

Per rimanere sempre sulla linea più bassa della rappresentazione alla Truman Show di due esistenze over the line, si procede ad una ridicolarizzazione delle procedure del Nobel, credendo di dare un senso alla vicenda, ma al contrario si scade nello scontato e non si stupisce più di tanto chi in ogni momento può vedere su Youtube le mossettine di Donald Trump e del fratellino piccolo Kim Jong-un: in un mondo a testa in giù se vuoi stupire devi darti da fare e non puoi farlo con il dietro le quinte del giochetto di Stoccolma.

La donna è vittima-carnefice-indecisa-decisissima-fortissima-unpodebole, l’uomo è semplicemente un coglione e il Nobel è un premio che Dylan ha trattato come un premio della bocciofila del dopolavoro ferroviario: embè?

Lo sapevamo, e allora perché farcelo vedere e non lasciarci l’illusione che magari, confondendosi autonomamente un po’ le idee e con l’aiuto di due margarita bevuti in due sorsi, si possa ancora per un attimo credere che esiste la Cultura, l’Uomo e quella cosa che fa girare il mondo che si chiama Donna?

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