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Calcio, piaga razzismo

Ci risiamo, col razzismo nelle curve del calcio. E’ diventata la piaga principale del nostro calcio. Ma, occorre dirlo, se ha attecchito ed è difficile estirparla, è grazie all’atteggiamento omertoso di società e giocatori.

Non tutti i club e non tutti i giocatori, ovviamente. Ma, per una Roma che si scusa pubblicamente per i buuu al sampdoriano Vieira, c’è la reazione delle altre società, come il Cagliari, dopo gli insulti all’interista Lukaku, e il Verona, dopo il caso Balotelli dell’ultimo turno di Serie A che ha visto protagonista una curva, quella dell’Hellas, già nota, anzi, famigerata per i suoi comportamenti. Quest’anno, lo stesso trattamento rivolto a Balotelli era stato riservato al milanista Kessie.

Calcio, piaga razzismo

Una musica stonata, non nuova nei nostri stadi e, da questo punto di vista, lo stadio Bentegodi di Verona, quando gioca l’Hellas, è un vero “tempio”, come la Scala per la lirica, che siano calciatori neri o arrivi il Napoli e altre formazioni del Sud. Al pari, forse, della Curva Nord dell’Olimpico, quella dei tifosi della Lazio.

Però, per il presidente dell’Hellas, Maurizio Setti, non è successo nulla, nessuno ha sentito niente: “Balotelli? Confermo che noi non abbiamo percepito nulla”, si legge in una nota pubblicata sul sito ufficiale del club gialloblù.

“Sono arrivato a Verona 8 anni fa e ho subito potuto vedere come i tifosi veronesi siano sì ironici ma assolutamente non razzisti, come è accaduto 6 anni fa al nostro debutto contro il Milan proprio di Balotelli. Quando ci sono episodi di razzismo siamo i primi a condannarli, lo abbiamo sempre fatto, ma è sbagliato generalizzare, parlando di cori e tifoseria razzisti, se su 20.000 persone fra il pubblico un paio possono, magari, aver detto qualcosa. Quelle due-tre persone, se ci sono, siamo pronti a prenderle e punirle perché condanno fortemente qualsiasi episodio di questo tipo. Ma parlare di Verona come fossimo fermi a 30 anni fa è sbagliato: noi siamo un Club e una tifoseria che ha solo lo sport nel proprio DNA. Sono tantissimi i ragazzi di colore che vestono gialloblù dalle Giovanili alla Prima Squadra, il razzismo è un discorso che per noi non esiste e Verona non è il posto giusto per simili generalizzazioni. Su 8 anni della mia presidenza, potete constatarlo, l’atteggiamento dei nostri tifosi è stato assolutamente corretto. Balotelli l’ho incontrato e mi sono scusato nell’eventualità che qualcuno gli possa aver detto qualcosa”. Anche l’allenatore dei veneti, Juric, ha criticato Balotelli, anche lui non ha sentito nulla.

Minimizzare, insomma, sempre e comunque. I fischi? Colpa di una minoranza. Però, la maggioranza si volta dall’altro lato. Il risultato, i tre punti, sono più importanti di tutto il resto. I presidenti, i calciatori, gli arbitri, quasi mai sentito alcunché, non soltanto quello del Verona. E persino il giudice sportivo, sempre troppo magnanimo, nelle sue decisioni in casi del genere: senza recidiva, non ci può essere condanna. Bene, la tifoseria dell’Hellas, dopo i casi Kessie e Balotelli è recidiva. Ah, no, nessuno ha sentito niente…

La decisione dell’arbitro di Roma-Mapoli, Rocchi, di sospendere il match per gli slogan contro i partenopei, un altro classico del nostro calcio, è un unicum che non sapremmo se sperare che faccia scuola o che non ce ne sia davvero più bisogno.

Fischi, insulti, oggetti per offendere degli avversari per il colore della loro pelle, quanto di più disgustoso ci possa essere nella vita di ogni giorno, ma ancor di più negli stadi, dove si dovrebbero esaltare con la pratica i valori del rispetto, di una fratellanza che nello sport abbatte ogni differenza.

Fa male, perché è una strategia pianificata, pressoché esclusiva delle tifoserie italiane e di alcune di queste in particolare. Lo confessa Luca Castellini, capo della tifoseria dell’Hellas Verona, intervistato dall’emittente Radio Cafè “Balotelli è italiano perché ha la cittadinanza italiana ma non potrà mai essere del tutto italiano“. Alla domanda se la tifoseria veronese sia razzista, Castellini ha aggiunto che “ce l’abbiamo anche noi un negro in squadra, che ha segnato ieri, e tutta Verona gli ha battuto le mani”.

“Ci sono problemi a dire la parola negro? – attacca – Mi viene a prendere la Commissione Segre perché chiamo uno negro? Mi vengono a suonare il campanello?”.

No, non ci sarebbe bisogno di una “commissione Segre“, di un inasprimento delle pene di microfoni direzionali, come proposto da Gabriele Gravina, presidente della Federcalcio. E, forse, nemmeno di un intervento del governo, come auspicato per esempio dalla Repubblica, oggi.

Basterebbe un atto di coraggio e di dignità delle società, basterebbe che la Figc applicasse le norme, quelle nazionali e quelle internazionali. In auto, c’è adesso anche il nuovo codice disciplinare approvato dalla Fifa nei mesi scorsi.

Prevede, al comma 3 dell’articolo 13: “Per i recidivi o se le circostanze del caso lo richiedono, disciplinare misure come l’attuazione di un piano di prevenzione, un fine, a detrazione di punti, giocando una o più partite senza spettatori, un divieto di giocare in un particolare stadio, la perdita di una partita, può esserci l’espulsione dalla competizione o la retrocessione in una divisione inferiore imposto all’associazione o al club in questione”.

Le misure ci sono, insomma, basta non voltarsi dall’altro lato.

Stanislao Lauricina

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Stanislao Lauricina
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