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Il NY Times rivela lo scontro Trump-Mattis sui raid in Siria

L’inimicizia tra Donald Trump e il New York Times non è, certamente, una novità. Ma, oggi, aumenta la posta in gioco. E Manhattan fa guerra al Tycoon, mirando direttamente ai raid aerei in Siria di domenica scorsa. Il Times, infatti, rivela il (presunto) scontro in merito ai missili che, il 15 aprile, avrebbe contrapposto la Casa Bianca al Pentagono.

James Mattis, segretario alla Difesa, avrebbe esortato il presidente a ottenere l’approvazione di Capitol Hill prima di procedere con qualunque azione militare. Ma, secondo la Cooper (corrispondente al Pentagono per il Times), Trump ha respinto un’istanza che avrebbe rallentato (se non impedito) una risposta “rapida e drammatica”.

Lo scontro e l’accordo tra Trump e il Pentagono

Il presidente degli Stati Uniti d’America non poteva permettersi di non supportare con l’azione i suoi tweet. “I suoi bellicosi tweet”, precisa la Cooper sul NY Times. Il Pentagono, tuttavia, avrebbe frenato Trump, avvertendo che una manovra eccessivamente aggressiva avrebbe, senza dubbio, scatenato le rappresaglie del Cremlino. E innescato, quindi, una escalation di violenza. Trump e Mattis, dunque, dovettero giungere ad un compromesso. E l’accordo sarebbe stato trovato sul numero di obiettivi. Raid mirati a 3 soli bersagli, nessun rischio per le truppe russe, nessun tentativo di colpire le unità militari siriane ritenute responsabili del (famigerato) attacco chimico del 7 aprile. Così Pentagono e Casa Bianca si sarebbero stretti la mano, senza coinvolgere il Congresso.

Il Times prosegue. Tra Trump e Mattis, ormai, si è aperta una frattura. Forse insanabile. Il Tycoon ha, peraltro, fatto cadere la testa del generale H. R. McMaster, consigliere per la sicurezza nazionale definito dalla Cooper come una sorta di buffer (ossia un cuscinetto) tra Trump e il segretario alla Difesa. Ormai, McMaster è stato allontanato e, tra Trump e Mattis, secondo il Times, è guerra aperta.

BasharJaafari smentisce l’ingresso degli ispettori OPAC a Duma

Da Damasco, intanto, l’ambasciatore siriano all’ONU smentisce le notizie di ieri. Nessun ispettore OPAC sarebbe ancora entrato a Duma, il sobborgo della capitale siriana che, lo scorso 7 aprile, sarebbe stato teatro della strage. L’ambasciatore BasharJaafari precisa che ieri si è svolto semplicemente un sopralluogo, effettuato da un team delle Nazioni Unite e mirato a stabilire se sussitono le condizioni minime necessarie per consentire l’accesso agli ispettori.

Ennesima conferma, dunque, della validità delle informazioni che provengono dalla Siria. Qualcuno lo definisce già il ‘giallo di Duma‘ e si domanda cosa abbia trattenuto gli esperti dall’entrare in Ghuta orientale. Probabilmente, si è trattato di mine poste lungo il percorso che avrebbero scoraggiato l’ingresso degli ispettori. L’indagine, ad ogni modo, è delicatissima. Gli occhi del mondo sono puntati sull’OPAC a cui bastano poche parole per legittimare – o per condannare – il discusso attacco congiunto di USA, Francia e Regno Unito. E Parigi già ieri ha previdentemente giocato la carta della possibile sparizione di prove da Duma. Ad opera di Assad, naturalmente.

Andrea Profeta

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  • Nella cittadina belga di Ypres dove si ebbe uno dei più intensi attacchi chimici al cloro concentrato durante la prima guerra mondiale, il rapporto tra deceduti e intossicati fu di 1 a 2, ossia il doppio degli intossicati più o meno gravemente, rispetto ai deceduti. In Siria, qualora ci fosse stato l'attacco chimico al cloro, si dovrebbe essere verificato lo stesso fatto e pertanto se si parla ( o sparla) di decine/centinaia di morti immediati, gli intossicati dovrebbero essere quanto meno il doppio e pertanto più che le tracce sul terreno dovrebbeo valere gli eventuali intossicati diffcili da nascondere e così per gli eventuali cadaveri. Parlare e concentrarsi su tracce nel terreno è palesemente deviante e mi meraviglio che nessun media abbia riferito in questo senso. Tutti complici o solo incapaci di connettere i fatti?

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Andrea Profeta
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