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Erdogan, il golpe e le sanguinose vendette | Così il dittatore turco ha riaccentrato il potere

Il fallimento del golpe militare in Turchia potrebbe avere un effetto ancor più dirompente di quello previsto e auspicato dai colonnelli ribelli. Erdogan, ristabilito l’ordine, ha infatti davanti a sé infinite possibilità di accrescere il potere nelle sue mani e di legittimare ulteriormente la sua dittatura anche in sede internazionale.

Il leader supremo turco ha dato dimostrazione al suo popolo, alla Nato e all’Ue di avere in pugno il Paese mostrando i muscoli in un’occasione potenzialmente esplosiva. Ha spazzato via le sacche di opposizione. Ha costruito attorno a sé l’aurea magnetica del leader-vittima. Erdogan, inoltre, ha non solo riacquistato consenso interno, ma ha anche alleggerito le pressioni provenienti dall’esterno.

Oggi è stata convocata una riunione di emergenza del governo che potrebbe portare all’adozione di nuovi provvedimenti particolarmente duri nei confronti dei golpisti: su tutti la pena di morte. Un’altra arma potentissima nelle mani di un dittatore che aspira non solo a far piazza pulita di oppositori, ma anche ad estirpare alla radice il seme della ribellione.

È un processo inarrestabile di rafforzamento di un regime totalitario con il quale i partner internazionali sono costretti a dialogare per puro opportunismo politico-economico-commerciale. Un rapporto ambiguo quello di Erdogan con i leader occidentali, osteggiato dagli euroscettici e supportato da chi invece vede nel dittatore turco un deterrente alla deriva islamista della Turchia.

Molti analisti militari e politici credono con convinzione che il golpe sia stata una maestosa messinscena. E le prove, in effetti, non mancherebbero. Dal fallimento lampo della ribellione (normalmente impensabile), alle strane vie di fuga impiegate da Erdogan e, non ultime, le convincenti e “distese” comunicazioni alla popolazione su Face Time.

Resta il bilancio sanguinoso degli scontri in piazza tra polizia ed esercito. Ma a questo punto è niente di più se non una parentesi di morte in un paese che scandisce la propria vita politico-istituzionale a colpi di rappresaglie e vendette. Erdogan è sempre più forte, ha consenso e legittimazione interna, ma sguazza in preoccupanti vuoti di democrazia e di rispetto dei diritti umani. La Nato glissa, l’Ue ammicca presa per il collo dall’emergenza migranti, gli Usa e la Russia osservano discretamente. Ma il sangue dei fautori della democrazia turca continua a scorrere copioso.

Emanuele Termini

Sono un giornalista nato con la passione per lo sport. Con il tempo e sotto l'occhio attento di maestri inflessibili, divento "onnivoro". Per Sì24 mi occupo di cronaca, di politica, di Palermo e del Palermo, squadra che seguo da vicino. Leggo e scrivo di tutto con una sola grande stella polare: la ricerca della verità.

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