Operazione antimafia nel Trapanese /FOTO| Eseguite quattro ordinanze di custodia cautelare

di Redazione

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Operazione antimafia nel Trapanese /FOTO| Eseguite quattro ordinanze di custodia cautelare

| lunedì 09 Marzo 2015 - 09:38

I Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Trapani e del Ros hanno eseguito una vasta operazione antimafia che ha portato all’esecuzione di 4 ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di altrettanti affiliati alla famiglia mafiosa di Marsala (Trapani) tra cui il reggente Antonino Bonafede.

Il provvedimento è stato emesso dal GIP del Tribunale di Palermo su richiesta della locale Dda. Gli arrestati sono accusati di associazione mafiosa, fittizia di intestazione di beni e società aggravata dal metodo mafioso e favoreggiamento aggravato. Sono state eseguite anche diverse perquisizioni.

Nell’operazione denominata ‘The Witness” sono finiti in carcere: Antonino Bonafede, 80 anni, pastore, pregiudicato per associazione di tipo mafioso; Martino Pipitone, 66 anni, pensionato, pregiudicato per associazione di tipo mafioso e detenzione abusiva di armi; Vincenzo Giappone, 54 anni, pastore, incensurato e Sebastiano Angileri, 48 anni, fabbro, incensurato.

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Le indagini sono state dirette dal procuratore aggiunto della Dda di Palermo, Teresa Principato, e coordinate dal sostituto procuratore Carlo Marzella. Secondo l’accusa Bonafede e Giappone provvedevano alla raccolta delle somme di denaro provento delle attività illecite per consegnarle al mandamento mafioso di Mazara del Vallo e ai familiari degli affiliati detenuti.

Secondo i magistrati, Bonafede sarebbe stato il reggente della famiglia mafiosa di Marsala e Giappone il cassiere dei boss. Inoltre per gli investigatori attraverso la fittizia intestazione Pipitone e Angileri gestivano una società di vendita all’ingrosso di materiale ferroso, formalmente intestata alla moglie di Angileri. Le indagini avrebbero documentato il passaggio di denaro tra gli affiliati, che era solitamente contenuto in buste di carta e indicato con “l’eloquente appellativo di malloppo”.

La famiglia mafiosa marsalese, “al fine di mantenere il controllo del territorio di competenza, si interessava – scrivono i magistrati – al recupero di refurtiva, a dirimere controversie tra gli agricoltori e i pastori della zona e contrastare l’apertura di nuove attività commerciali che avrebbero potuto incidere negativamente con quelle riconducibili a personaggi protetti dai boss”.

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