Stato-mafia, parla il pentito Giuffrè | “Riina fu venduto allo Stato da Provenzano”

di Redazione

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Stato-mafia, parla il pentito Giuffrè | “Riina fu venduto allo Stato da Provenzano”

| giovedì 21 Novembre 2013 - 16:17

A Palermo è il giorno di Nino Giuffrè, l’ex fedelissimo di Totò Riina e capo del mandamento mafioso di Caccamo, da tempo annoverato tra i pentiti di mafia più importanti, ha infatti testimoniato, nell’aula bunker del carcere l’Ucciardone di Palermo, nel corso del processo per la trattativa Stato-mafia. “Nel ’91 partecipai alla famosa riunione della resa dei conti di Cosa nostra – racconta – dove si decise l’eliminazione dei politici ritenuti inaffidabili, come Lima, i Salvo, Mannino, Vizzini e Andò, e i magistrati ostili come Falcone e Borsellino”.

Giuffrè ha anche raccontato che dal 1987 la mafia spostò i suoi voti dalla Dc al Psi e ai Radicali. “Dopo la riunione – ha aggiunto – iniziò una politica di aggressione a chi veniva considerato un traditore”. La riunione della “resa dei conti” avvenne a dicembre del 91, poco dopo la cassazione confermò gli ergastoli del maxiprocesso. “Fu la goccia che fece traboccare il vaso”, ha detto Giuffrè. “Ma già a dicembre si vociferava – ha aggiunto – che la sentenza sarebbe andata male”.

“Nel ’93 – prosegue – dopo le stragi di Falcone e Borsellino incontrai Provenzano. Era un altro uomo: aveva adottato la strategia del ‘calati iunco che passa la piena’. Aveva un atteggiamento da ‘vergine’ come se le colpe di quanto fosse accaduto fossero solo di Riina”.

“Provenzano – ha aggiunto – mi disse che si doveva mettere da parte l’attacco frontale allo Stato perchè contro lo Stato si perde. Mi disse di non fare scruscio (rumore, ndr) e tornare ai discorsi antecedenti al cataclisma perche’ in sei o sette anni di questa strada ne saremmo usciti fuori”. Ma l’ala provenzaniana, dopo l’arresto di Riina, si contrappose a quella di Luca Bagarella, Giovanni Brusca ed altri fedelissimi del boss, che proseguirono l’attacco allo Stato con omicidi e con le bombe del 93. “Noi vivemmo quel momento quasi con paura – ha detto Giuffrè – perchè le stragi avevano addirittura superato il Continente”.

“Dopo l’arresto di Riina – ha proseguito il pentito – nel nostro gruppo si pensava che qualcuno l’avesse venduto e che non avessero disposto la perquisizione della sua casa per non trovare tracce, documenti. Alcuni di noi avevano il sospetto che Provenzano possa avere avuto rapporti con gli sbirri. Io non avevo notizie ufficiali, era una voce che girava da tempo. Negli anni ’80 i vecchi di Cosa nostra dicevano di stare attenti a Provenzano sia per le tragedie che per la sbirritudine. Io misi insieme quelle voci – conclude – con quelle identiche che c’erano negli anni ’90 che venivano anche da Catania. Si parlava anche di vicinanza agli sbirri della moglie di Provenzano: cioè si diceva che Provenzano ha dato notizie agli sbirri attraverso la moglie”.

La cattura di Riina sarebbe stata oggetto di una trattativa avviata tra il boss Bernardo Provenzano e una parte dello Stato. L’arresto del boss stragista fu il prezzo pagato da Cosa nostra – spiega Giuffrè – “a quella parte di Stato che per alcuni versi aveva avuto una vicinanza con la mafia”. In sostanza Provenzano avrebbe consegnato prima Riina, poi gli altri boss che facevano parte della frangia sanguinaria di Cosa nostra. Un disegno che, secondo il pentito, avrebbe portato ai politici che erano nella lista nera della mafia, che li riteneva traditori, più serenità, visto che erano finiti in cella i boss stragisti, e alla mafia “benefici e un allentamento delle maglie repressive”.

“Provenzano mi disse che Ciancimino andava in missione per conto di Cosa nostra dai carabinieri”, continua il collaboratore di giustizia che, alla domanda del pm Vittorio Teresi su chi fossero i carabinieri interlocutori di Ciancimino, ha risposto: “Potrei dire che si trattava dei carabinieri del Ros”.

“Nel ’93 c’è l’inizio di un nuovo capitolo: si apre un nuovo corso tra Cosa nostra e la Politica. Provenzano all’inizio era un po’ freddo poi, parlando di Dell’Utri e di Forza Italia, mi disse ‘Siamo in buone mani'”. Lo ha detto deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia il pentito Nino Giuffrè.

In Cosa nostra ci adoperammo tutti per dare una mano a Forza Italia, la forza politica che allora stava nascendo”, ha detto Nino Giuffrè. Il collaboratore di giustizia ha indicato nell’ex senatore Marcello Dell’Utri il tramite tra la mafia e Silvio Berlusconi. “Dell’Utri – ha aggiunto – era in contatto con Brancaccio e coi fratelli Graviano”.

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