Io, senza presente e senza futuro

di Redazione

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Io, senza presente e senza futuro

| martedì 20 Novembre 2012 - 08:53

fine-lavoro

Ho 50 anni più 24 mesi. Non è un vezzo, è che tutto si è fermato proprio 24 mesi fa quando ho perso il mio lavoro, il mio futuro e soprattutto il presente. Ho perso un lavoro che spero di riottenere: la stessa scrivania nello stesso ufficio nella stessa strada percorsa per quasi 20 anni.

Un lavoro che ho acchiappato per caso e necessità ma che nel tempo mi sono fatto piacere. Un lavoro che mi ha consentito, dopo anni di precariato – esisteva già alla fine degli anni ’80 – di crearmi una famiglia e di fare figli a cui assicurare una esistenza dignitosa. Un lavoro che ho perso all’improvviso per motivi di cui non intendo parlare perché l’unico motivo che mi spinge a parlare è poter dire, con la cautela di un anonimato che almeno protegge il pudore dei miei cari, cosa si prova alla mia età a restare per tutto questo tempo senza una lira in tasca, senza alcuna prospettiva ad eccezione dell’esito incerto di una vertenza giudiziaria che mi renda giustizia, a convivere con il peso opprimente dell’inutilità.

Sono separato e il silenzio della mia ex moglie è più eloquente di qualsiasi accusa e sì che ce ne siamo scambiate anche di violente quando le nostre strade si sono separate. Ma è niente rispetto allo sguardo di commiserazione dei miei figli – una lei già all’università ed un lui alle soglie del diploma- per i quali dovrei essere un esempio di vita come lo sono stato per tanti anni.

Sono senza lavoro e disperato perché nessuno offre nulla ad un uomo della mia età, nulla dello stesso livello precedente ma neanche di diverso. Ho provato a cercare una sistemazione come segretario in uno studio dentistico o in una portineria, alla cassa di una pizzeria e in una ditta di consegne. Tutta le gente con cui ho parlato sembra colpita dalla mia disgrazia, solidale ma non sino al punto di agire concretamente. Nessuno me lo dice ma credo che tutti pensino che sia un coglione, un gigantesco coglione incapace di reagire e di trovare un’altra strada.

 

Confesso che attraverso amici (sarebbe meglio dire conoscenti…) ho cercato anche una raccomandazione politica per trovare almeno un’occupazione saltuaria: 1000 euro per fare il galoppino durante le elezioni. Ecco cosa ho trovato. Ho preso e ringraziato ma ricordo cosa pensavo qualche anno fa di questa pratica. Le prospettive cambiano, non riesco nemmeno a provare disgusto per chi s’approfitta del disagio di chi come me non può permettersi l’indignazione.
Non sono un operaio della Gesip, non vado in strada a protestare, sono solo uno e come tale conto poco. Il mio è un dramma individuale che giorno dopo giorno cresce di intensità. O forse sono le forze che vengono meno e le speranze che si spengono.

Sinora non ho il problema di dove dormire e mangiare perché vivo da mia madre, una quasi ottantenne pensionata che ha ritrovato in questo figlio da proteggere una nuova ragione di vita. Dico una cosa di cui potrei vergognarmi all’infinito ma a 50 anni, con una professione alle spalle, anni di studio e consolidate abitudini di vita è assai difficile resistere in questa situazione. Ha detto bene un mio amico: un delinquente in galera vive meglio di chi, anche colpevole, delinquente non lo è. Per quasi un anno mi sono preso in giro, mi dicevo si chiude una porta… Forse non mi credeva neanche mio figlio poco più che quattordicenne che mi aiutava a selezionare su giornali e su internet le nuove strade da battere.

 

Oggi viviamo pressappoco con la stessa paghetta e il nostro gioco – che continua – ha un velo di tristezza. Anzi è patetico. Ventiquattro mesi dopo posso dirlo: sono diventato povero, anche di spirito. Ho esaurito la liquidazione e sono troppo lontano dalla pensione. Ho un solo vantaggio, posso mettere in pratica tutti i buoni proponimenti che assieme a mia moglie (impiegata e modello di parsimonia) infrangevamo ogni giorno. Niente Hogan o Iphone per i miei figli, non mi è consentita neppure la tentazione. Avrei preferito farlo per scelta piuttosto che per necessità. Ho venduto anche la macchina, da anni mi dannavo per l’eccessivo costo dell’assicurazione.

 

Oggi dannarsi è un pensiero superfluo, non posso più permettermelo e basta. Non vado in un locale pubblico da tempo, non ho Sky e la partita la vedo alla Snai. Si può vivere anche così, non è questo il punto. Mi pesa l’assenza di futuro e di sogni. Forse non dico cose originali, chissà quanta gente è nella mia stessa condizione. Ma il tumore – che sai esistere – è qualcosa che riguarda gli altri finchè non ti colpisce. E solo allora cominci a fare i conti con la malattia e non sei mai abbastanza preparato.

A volte penso che sia stata colpa mia, di scelte sbagliate, di scarso opportunismo. E non c’è nessuno che questo i pensieri li caccia via perché in fondo è proprio questo il comune sentire. Se avevi una posizione e l’hai persa qualcosa avrai sbagliato. Io ancora mi chiedo cosa. Me lo chiedo la sera quando faccio il giro della casa e chiudo le serrande e il contatto con il mondo e i suoi rumori. E in quei momenti di silenzio, solo con me stesso dopo anni passati ad addormentare i bambini o ripassare i compiti al tempo delle scuole medie, dopo anni passati ad avere un ruolo, devi fare i conti con la vergogna il più orribile dei sentimenti perché sa dove colpire.

50 anni e 24 mesi, il mio nuovo calendario, il mio contagiorni, la scansione della mia inutilità. La morte in vita.

 

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