Daolio, i Nomadi e il gran rifiuto a Mogol

di Redazione

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Daolio, i Nomadi e il gran rifiuto a Mogol

| venerdì 15 Febbraio 2013 - 10:19

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Il 18 febbraio è un giorno curioso per chi studia negli almanacchi di musica. E’ il giorno in cui è nato Fabrizio DeAndrè, il più straordinario poeta della musica italiana, voce ammaliante, cantore di un’epoca senza tempo.

Ma non è di lui che vogliamo parlare, ma di un eroe sfortunato che con Fabrizio ha condiviso scelte audaci e quell’andar controcorrente che è filosofia di vita più che cifra artistica. Si tratta di Augusto Daolio, cantante e marchio indelebile dei Nomadi, che con De Andrè condivide il giorno di nascita.

 

Presenza fisica che cattura gli sguardi quasi quanto quella voce s’insinua nelle orecchie di chi ascolta. Un timbro nasale che nei toni alti si trasforma in una forma quasi lirica, parole scandite con la forza che nessuno seppe avere in quel frangente di contestazione che caratterizzò la metà degli anni ’60. Ma Daolio non era un figlio dei fiori e i Nomadi non avevano niente a che fare con la protesta “commerciale” dei Rokes . Ma che colpa abbiamo noi? Ma quando mai. La voce di Daolio attingeva alle sue conoscenze emiliane, una voce che era braccio armato della penna di Guccini, il Guccini di Auschwitz e di Noi non ci saremo.

La stagione della protesta, quella vera, arrabbiata, sanguigna e che non strizzava l’occhio alle classifiche, fu contraddistinta da questa voce anomala che a volte sembrava uscire da un megafono e da una barba che implementava il carisma di Daolio e ne connotava i tratti da vecchio guru. Che vecchio poi non lo era: aveva poco più di 20 anni alla fine dei ’60 ed era sotto i 30 all’apice della popolarità all’epoca di Io Vagabondo. Eppure giovane non lo sembrava, nota stonata con quella sobrietà che spiccava tra le tante note vivaci di quella stagione colorata. Daolio, Demetrio Stratos, Ricki Gianco, voci e menti di una stagione indimenticabile. E naturalmente Guccini, se vogliamo l’ideologo e altra voce fuori dal coro.

Di Daolio si narra che rifiutò di eseguire Non è Francesca gentilmente offertagli da Mogol che aveva suggerito a Battisti di andare sul sicuro e puntare sui Nomadi anziché cantarla di persona. Non è che Daolio disdegnasse l’incursione nel privato, solo che quando lo faceva pretendeva che anche l’amore fosse di… contenuto. La storia di Non è Francesca è meravigliosa nella sua semplicità e il tormentone del refrain di ineguagliabile e malinconico fascino. Ma Augusto preferiva lo stile Io Vagabondo perché nelle canzoni doveva rivedersi e sentirsi a suo agio. E allora molto meglio “Io vagabondo che son io, vagabondo che non sono altro, soldi in tasca non ne ho, ma lassù mi è rimasto dio” di “Ti stai sbagliando chi hai visto non è , non è Francesca…”

Anche perché in fondo Augusto il successo un po’ lo scansava. I suoi toni erano improntati a sobrietà e sostanza. Era un numero 8, con la classe di un regista ma privo della fantasia di un numero 10. Se si vuole, un paradosso: proprio il 18 febbraio è nato anche un certo Roberto Baggio…

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