Mafia, Di Matteo: “La responsabilità politica va al di là di quella penale”

di Redazione

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Mafia, Di Matteo: “La responsabilità politica va al di là di quella penale”

| domenica 19 Maggio 2013 - 14:44

di matteo nino

PALERMO, 19 MAGGIO 2013 – “Nel rapporto tra mafia e politica spesso ci si limita alla sola responsabilità penale come se ciò esaurisse la cattiva condotta in un comportamento”. Il pubblico ministero Nino Di Matteo parla ad un dibattito nell’ambito della Festa del Consumo critico di Addiopizzo, in corso a Palermo.

 

E Di Matteo, che sostiene l’accusa nel processo sulla trattativa Stato-mafia e che recentemente è stato vittima di minacce, parla del ruolo della magistratura, degli attacchi, del rapporto con i media e soprattutto delle responsabilità della politica.

 

“Oggi accade che nella gran parte dei casi quella politica vicina all’indagato di turno attacca la magistratura definendola politicizzata – ha aggiunto Di Matteo – mentre, nel ‘migliore’ dei casi, le reazioni sono quelle che dicono di dover aspettare l’esito del processo: ma questa è un’ipocrisia che delega alla magistratura la risoluzione del fenomeno mafia-politica. Faccio un esempio banale – ha ipotizzato il pm -: se io sono un candidato alle elezioni e so chi è il capomafia di quel paese e consapevole di ciò gli vado a chiedere voti, per il codice penale non ho commesso reati e l’indagine della magistratura si chiuderà con un’archiviazione o un proscioglimento, ma sappiamo tutti quale significato sociale in questa terra abbiano queste condotte. Perché i partiti non fanno valere responsabilità di tipo politico al di là di quella penale?”.

 

Alla vigilia del ventunesimo anniversario della strage di Capaci, Di Matteo parla anche di Falcone e Borsellino: “Per tanti, troppi, i magistrati sono da onorare solo da morti; sono, siamo stanchi dell’ipocrisia di chi, quando erano in vita Falcone e Borsellino, non esitava a definirli ‘giudici politicizzati’, mentre, dopo che sono morti si finge di onorarli e si contrappone la loro condotta ai magistrati vivi per affermare che mai avrebbero agito come loro. Ma è un falso storico. Tanti autorevoli esponenti politici anche allora criticarono Falcone e Borsellino per la loro partecipazione al dibattito pubblico – ha aggiunto Di Matteo – Borsellino subì anche un procedimento disciplinare per difendersi di fronte al Csm per la denuncia di smantellamento del pool antimafia che aveva fatto. Adesso questi ambienti che prima attaccavano Falcone e Borsellino hanno attaccato altri magistrati dicendo che Falcone e Borsellino non lo avrebbero mai fatto: è un falso storico. Non possiamo e non dobbiamo parlare di processi in corso, ma possiamo e dobbiamo partecipare alla vita pubblica”.

 

E ancora giudici e stampa: “Il rapporto con i media deve essere quello di ripristinare la verità di fronte a falsi che, ripetuti, diventano quasi realtà, per i lettori – ha chiosato Di Matteo – come quando si dice che la separazione delle carriere tra Pm e giudici è necessaria perché i giudici sono appiattiti di fronte a richieste del pm, ma è un falso”.

 

Di Matteo parla anche degli strumenti a disposizione della magistratura per colpire la mafia e parla di un sistema “a due velocita”.

“Da un punto di vista militare – dice il pm – la mafia è diversa da quella del 1992; ma registriamo l’assenza di una legge che punisca l’auto riciclaggio, un sistema odierno di prescrizione molto breve che vanifica il lavoro del processo penale, una legge sulla corruzione come quella dell’anno scorso che pare quasi una presa in giro. Tutti questi fattori rendono difficile l’individuazione e la repressione di tutte quelle condotte penalmente rilevanti, come la turbativa d’asta, la corruzione o la concussione, attraverso le quali la mafia penetra nella vita sociale. Ci sembra di trovarci di fronte a un sistema a due velocità: giustamente efficace quando si tratta di procedere nei confronti dell’estorsore o del trafficante, quasi timido nei confronti del politico colluso con la mafia”.

 

Poi un passaggio sulle intercettazioni delle conversazioni fra il Presidente della Repubblica e l’ex ministro Nicola Mancino, distrutte nell’ambito del processo sulla tratattiva Stato-mafia. Per queste intercettazioni Di Matteo ha subìto l’azione disciplinare del Csm, per avere violato i “doveri di diligenza e riserbo”: “Prendiamo atto della sentenza della corte costituzionale sulla distruzione delle intercettazioni che hanno riguardato Mancino. Siamo fieri che quelle conversazioni sono rimaste segrete: non è uscita una riga in proposito, ma quello che poi è avvenuto in termini di attacchi alla Procura di Palermo è sotto gli occhi di tutti. Certo, prendo atto, e qui faccio una constatazione di fondo – ha aggiunto Di Matteo – che altre conversazioni dello stesso Capo dello Stato e di quello che lo aveva preceduto, ugualmente irrilevanti dal punto di vista penale, erano invece state da altre Procure trascritte, depositate a disposizione delle parti, ed erano state pubblicate dai giornali. In quei casi non è stato sollevato alcun conflitto di attribuzioni – osserva Di Matteo – nel nostro caso, invece si”.

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