Di Matteo chiede 9 anni per Mori. Lunedì il processo sulla trattativa

di Redazione

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Di Matteo chiede 9 anni per Mori. Lunedì il processo sulla trattativa

| venerdì 24 Maggio 2013 - 13:19

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PALERMO, 24 MAGGIO 2013 – Nove anni di reclusione per Mario Mori e sei anni e sei mesi per Mauro Obinu. Queste le richieste del pm Nino Di Matteo al termine della lunga e articolata requisitoria, che si è conclusa oggi dopo quattro udienze con le richieste di pena nei confronti dei due ufficiali dei Carabinieri.

Per entrambi Di Matteo ha chiesto anche l’interdizione peretua dai pubblici uffici. I due militari sono accusati di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra per la mancata cattura del boss Bernardo Provenzano nell’ottobre del 1995. In aula sono presenti il Procuratore capo di Palermo Francesco Messineo e il Procuratore aggiunto Vittorio Teresi. Il Tribunale è presieduto da Mario Fontana. Mentre Di Matteo conclude la sua requisitoria sta per partire, lunedì, il processo sulla trattiva che si incrocia sostanzialmente con questo.

Di Matteo parte dalla sentenza della Corte d’assise di Firenze al processo contro Leoluca Bagarella per affermare che non ci sono dubbi sui rapporti fra gli ufficiali del Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno con Vito Ciancimino. Contatti iniziati subito dopo la strage di Capaci e prima di quella di via D’Amelio a cavallo fra maggio e giugno del 1992. Di Matteo sottolinea che sia Mori che De Donno usarono più volte il termine “trattativa” in aula a Firenze.

 

Il pm chiarisce il ruolo del figlio di Vito, Massimo Ciancimino che è un testimone attendibile se si utilizzano criticamente e si riscontrano le sue dichiarazioni e chiarisce che l’intero processo non ha come architrave le dichiarazioni del teste. Di Matteo, tra l’altro, non esita a definire “personaggio controverso” il figlio dell’ex sindaco di Palermo che rimane indagato per calunnia nei confronti dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro e per la detenzione di esplosivo che lui stesso fece ritrovare a casa sua.

Cosi Di Matteo legge parti cospicue della testimonianza di Massimo Ciancimino riscontrata dalle indagini e da altre dichiarazioni. Arriva proprio a Vito Ciancimino il “papello” di richieste di Riina e Cosa nostra. Richieste esagerate che indussero a cambiare interlocutore: da Riina a Provenzano. Dopo via D’Amelio Vito Ciancimino consegna ai boss il “contropapello” proprio a Provenzano che diventa il referente unico dei Carabinieri, quelli che poi arrestarono Totò Riina.

Di Matteo poi rivela che nell’indagine sulla trattativa tra Stato e mafia “ci sono state e continuano a esserci tante reticenze politico-istituzionali”. E fa i nomi di Liliana Ferraro, direttore degli Affari Penali al Ministero della Giustizia, ex braccio destro di Giovanni Falcone e l’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli. Entrambi forniscono dichiarazioni, non sempre univoche, dopo ben diciotto anni. Tra la strage di Capaci e via D’Amelio, il Ros prendeva iniziative autonome senza informare né il Comando generale, né le Procure. Contatta invece il Guardasigilli per avere copertura “politica”.

 

Il pm ricorda anche le dichiarazioni della moglie di Borsellino, Agnese, recentemente scomparsa che ha confermato che il marito gli parò di una trattiva fra Stato e mafia dopo la strage di Capaci. Per Di Matteo questo rimane uno dei più rilevanti elementi di prova sul fatto che il giudice aveva quanto meno una parziale conoscenza dei contatti in corso. Di Matteo ricorda una data: 25 giugno 1992, quel giorno ci sarebbe stato l’incontro tra Paolo Borsellino e il capitano Giuseppe De Donno. Poi fra il 10 e il 12 luglio Borsellino incontra il capo del Ros Antonio Subranni. Il 15 luglio 1992, secondo le dichiarazioni di Agnese Borsellino, Paolo le confidò che Subranni era “punciutu”, affiliato a Cosa nostra. Quattro giorni dopo l’esplosione di via D’Amelio.

A questi fatti Di Matteo sovrappone le dichiarazioni di Giovanni Brusca che incontra Riina due volte sempre nei giorni che separano le due stragi del ’92. Riina gli avrebbe detto: “si sono fatti sotto per sapere che cosa vogliamo per fermare le stragi e io gli ho consegnato un papello grande così”. La seconda volta Riina avrebbe svelato il nome del destinatario del papello: Nicola Mancino, l’ex Presidente del Senato, imputato nel processo sulla trattativa che inizia lunedì.

Due procedimenti con Di Matteo pubblico ministero e che hanno decine di punti di contatto. Come il ruolo dell’ex consigliere giuridico del Quirinale Loris D’Ambrosio, scomparso mesi fa. Per Di Matteo avrebbe avuto un ruolo nella revoca del 41 bis. A partire dalla nomina di Francesco Di Maggio al Dap, per il pm irregolare e al centro dei colloqui telefonici intercettati fra D’Ambrosio e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino. Di Matteo ricorda che D’Ambrosio in quel periodo lavorava al ministero della Giustizia. Da qui il peso delle affermazioni ascoltate nelle intercettazioni: “Contro il 41 bis c’erano Mori, polizia, Parisi, Scalfaro, e compagnia”.

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