Acqua minerale, per i produttori siciliani è… troppo salata | L’allarme di Confindustria: “Le aziende rischiano la chiusura”

di Maria Teresa Camarda

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Acqua minerale, per i produttori siciliani è… troppo salata | L’allarme di Confindustria: “Le aziende rischiano la chiusura”

| giovedì 05 Dicembre 2013 - 13:37

Acqua minerale imbottigliata o acqua del rubinetto? Un dilemma che torna spesso nel dibattito pubblico, con contorni mai del tutto chiari che confondono i cittadini che ancora oggi, almeno in Sicilia, preferiscono, dati alla mano, sempre le acque confezionate.

Dalle sorgenti siciliane vengono imbottigliati circa 63 litri d’acqua al secondo, per un giro d’affari di circa 70 milioni di euro all’anno. Le società che si occupano di imbottigliamento sono 10 e danno lavoro ad almeno 800 dipendenti. Ma è scattato l’allarme: l’aumento dei due canoni, ossia quello sulla superficie di concessione e quello sull’acqua emunta, stabilito dall’art. 14 della legge di Stabilità del 2013, approvata dall’Assemblea regionale siciliana lo scorso maggio, rischia di far fallire le aziende siciliane.

“Un aumento dei canoni nella misura prospettata per un prodotto ‘povero’ a basso valore aggiunto come l’acqua minerale – spiegano le imprese di Minaracqua, l’associazione di categoria che in Confindustria rappresenta le aziende che imbottigliano acqua minerale – non è sostenibile”.

I nuovi canoni in alcuni casi sarebbero infatti di circa 10 volte superiori: un’azienda siciliana di medie dimensioni passerebbe da 40 a 600 mila euro di canone sull’acqua emunta e da cinquemila a 50 mila euro per il canone sulla superficie. “Se si considera – aggiunge Paola Parziale, direttore di Mineracqua – che il margine medio del settore a livello nazionale è di 0,58% ante imposte e che in Sicilia si è già tradotto in perdite di bilancio, diventa chiaro che un aumento non è sostenibile”.

Il fatturato delle aziende siciliane che imbottigliano acqua minerale è di circa 69 milioni e nel 2011 il dato aggregato dei bilanci ha fatto rilevare una perdita di 1.384.000 euro. L’impatto dell’aumento del canone graverebbe per un altro 1.368.000 euro, con conseguente perdita di fatturato rispetto alle aziende concorrenti che commercializzano acqua minerale non emunta in Sicilia, ma che pagano ad esempio nelle regioni limitrofe canoni più bassi, come in Calabria, Basilicata, Puglia e Campania. “La conseguenza più evidente – ribadisce Mineracqua – sarà che le acque siciliane imbottigliate, una risorsa del territorio, valorizzate dalle imprese e apprezzate dai consumatori, saranno sostituite da quelle proveniente da altre regioni”.

L’articolo 14, di cui oggi gli imprenditori dell’acqua chiedono l’abrogazione, era stato emendato dal Movimento 5 Stelle, che, disincentivando l’imbottigliamento, soprattutto in plastica, avevano tentato di conseguire un duplice obiettivo: ridurre l’impatto ambientale dei rifiuti in plastica – “in Sicilia la differenziata è ancora inferiore al 10 per cento”, dice la parlamentare regionale grillina, Claudia La Rocca – e ottenere un vantaggio economico sia per i cittadini che per la Regione.

“Del giro di affari complessivo alla Regione nel 2012 toccarono soltanto 900 mila euro – spiega La Rocca – di cui incassati effettivamente soltanto poco più di 250 milioni di euro. E non soltanto la Regione non riesce a fare cassa dalle proprie risorse naturali, ma i cittadini, tra l’altro, pagano l’acqua in bottiglia carissima”. “Inoltre – prosegue La Rocca – l’articolo 14, che tra l’altro non è ancora stato mai applicato, prevede uno sconto fino al 50 per cento per tutte quelle imprese che imbottiglino in vetro o favoriscano i vuoti a rendere”.

“E – conclude La Rocca – la gente spesso non sa che l’acqua delle fontanelle comunali è controllatissima e perfettamente potabile”. Diversa la situazione invece dei rubinetti delle case, dove a volte l’acqua arriva da cisterne che non vengono pulite da anni.

“Sarebbe paradossale – sottolinea Giovanni Sardo, della Uil – fare chiudere le aziende e perdere posti di lavoro. Le casse della Regione non ne trarrebbero di certo alcun beneficio, ma anzi si dovrebbero sprecare risorse per gli ammortizzatori in deroga”.

“La Sicilia – commenta Giorgio Tessitore, della Cisl – non può permettersi una così pesante ricaduta occupazionale. Va alzato un argine per restituire competitività alle aziende e certezze ai lavoratori del settore”.

Le organizzazioni sindacali, che hanno partecipato all’incontro che si è tenuto in Confindustria Sicilia con Mineracqua, alla presenza del direttore dell’associazione degli industriali, Giovanni Catalano, chiederanno anche un incontro al Governo regionale per informarlo degli effetti negativi del provvedimento e chiedere l’abrogazione dell’articolo 14.

“La rivisitazione del canone – ribadisce Ferruccio Donato, della Cgil – non può non tenere conto del mercato nazionale. È opportuno che il tema venga affrontato in maniera organica, partendo dalla rivisitazione della legge del 1956 che regola l’imbottigliamento e la commercializzazione dell’acqua”.

 

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