Viaggio alla scoperta di Racalmuto, città di Leonardo Sciascia /FOTO

di Giuseppe Imburgia

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Viaggio alla scoperta di Racalmuto, città di Leonardo Sciascia /FOTO

| giovedì 27 Febbraio 2014 - 15:01

Racalmuto è un centro agricolo di circa 9.000 abitanti, distante poco meno di 25 chilometri da Agrigento. Non ha di certo lʼappeal di Taormina o di Erice, nè, i suoi dintorni, la bellezza paesaggistica dellʼEtna o delle Madonie. Ma attrae. Attrae come la calamita tira a sé il ferro: semplice magnetismo.

Lì è nato e vissuto, per buona parte della sua vita, Leonardo Sciascia, e tanto basta per comprendere il perchè di questo potente richiamo. Avevo 15 anni quando arrivava nelle sale cinematografiche “Il giorno della civetta”, il film diretto da Damiano Damiani, tratto dallʼomonimo romanzo scritto sette anni prima da Leonardo Sciascia.

Era la prima volta che vedevo un film di denuncia, e dai contenuti così forti. Ricordo una bellissima Claudia Cardinale, nelle vesti dimesse di Rosa Nicolosi, il cui volto ammantato dal dolore per la scomparsa del marito, non era certo meno luminoso di quello dellʼesuberante Angelica del “Gattopardo”.

Ricordo perfettamente anche il memorabile monologo di Don Mariano Arena (lʼattore Lee J. Cobb) al cospetto del Capitano Bellodi (Franco Nero): “Divido lʼumanità in cinque categorie: gli uomini, pochissimi, i mezzʼomini, pochi, gli ominicchi, bambini che si credono grandi, i ruffiani che stanno diventando un vero e proprio esercito, e i quaquaraquà, un branco di oche”. Un cult della mia generazione! Dalla poltrona del cinema alla lettura del romanzo il passo fu breve. Breve e sorprendente. Mi sorpresi infatti, io, incallito lettore di fumetti e giornali sportivi, a leggerlo tutto dʼun fiato. Quella prosa così asciutta ed efficace, mai dialettale, superava lʼinteresse per la trama che ormai conoscevo, e, sopratutto, mi fu da stimolo per andare a ritroso nella lettura delle opere precedenti.

Così arrivai alle “Parrocchie di Regalpetra”, (opera prima di Leonardo Sciascia) e quindi a Racalmuto, paese, a me come a tanti della mia età, del tutto sconosciuto allʼepoca, nonostante fosse ricco di storia e tradizioni. “U paisi di lu sali” veniva chiamato dalla generazione dei miei nonni e forse anche dei miei genitori, come a voler rimarcare differenze sociali e culturali, ignorandone, o facendo finta di ignorarne, la ricchezza di iniziative imprenditoriali e culturali, e la prosperità che per secoli, grazie al contributo di grandi Famiglie e di grandi personaggi hanno caratterizzato questo territorio.

I Chiaramonte, che fecero costruire lʼimponente castello nel XIV secolo, e, successivamente i Del Carretto (fino al XVIII secolo), furono le Famiglie più blasonate a capo di Racalmuto. Ma dallʼUnità dʼItalia in avanti, per quasi ventʼanni, lʼamministrazione comunale fu nelle mani di unʼaltra grande Famiglia. Una famiglia che non aveva alcun titolo nobiliare, ma, come scrive Leonardo Sciascia, “di grande e vera nobiltà nel comportamento, negli intendimenti, nelle opere”: la Famiglia Matrona. A loro si deve la costruzione di scuole, strade, fontane, realizzate spesso attingendo alle proprie risorse economiche. Lʼultimo dei fratelli, Don Gaspare Matrona, sindaco dal 1872 al 1876, uomo prodigo e pieno di passioni, grande viaggiatore, aveva a cuore il rinnovamento del paese, e per esso spese il suo ingente patrimonio. Morì povero, ma lʼintero paese lo ricordò per anni come un mito.

Di lui scrive Sciascia: “Il Sindaco provvederà di tasca propria”, questa frase ancora aleggia nellʼaula del consiglio toccando il sentimento, la dignità e lʼamor proprio di coloro che vi siedono. Che non tireranno denaro dalla tasca propria, ma certo avranno sempre ritegno a mettersene in tasca di quello pubblico”. Ieri come oggi. Alla Famiglia dei Matrona si deve la costruzione del Teatro Comunale Regina Margherita. Progettato dall’architetto Dionisio Sciascia, allievo della scuola di Filippo Basile, fu concepito nello stesso periodo del Teatro Massimo di Palermo; un vero gioiello di arte e architettura che ricalca, seppure in scala minore, il più celebre teatro palermitano.

Era il simbolo della Racalmuto bene, ed era il teatro amato da Leonardo Sciascia che, qualche decennio dopo, tanto si adoperò per la sua ristrutturazione. Come il Massimo, purtroppo, anche il teatro di Racalmuto ha condiviso il triste primato di una lunga chiusura. Alla riapertura, nel 2003, è stato nominato direttore artistico Andrea Camilleri, al quale, da qualche anno è subentrato il regista teatrale Fabrizio Catalano. Al tempo dei Matrona (nel 1878), un altro notabile di Racalmuto, Il Cavalier Salvatore Sferrazza, fu insignito da Papa Leone XIII dellʼambita onorificenza di Cameriere Segreto di Cappa e Spada. Al contrario dei Camerieri d’onore, che sono quelli incaricati dell’anticamera d’onore, che conduce alla sala del trono, dove il Papa riceve in udienza pubblica, i Camerieri segreti hanno invece l’incarico di sovrintendere all’anticamera segreta, per le udienze private. Essi pertanto devono riscuotere lʼassoluta fiducia del Pontifice. La particolarità, credo unica nella storia della Casa Pontificia, sta nel fatto che i tre Papi successivi, Pio, Benedetto XV e Pio XI vollero confermare il Cavalier Sferrazza in questo delicatissimo ruolo. A lui si deve la ricostruzione della Chiesa del Serrone, oggi di proprietà della Famiglia Alessi, da sempre aperta al culto dei fedeli della contrada.

Proprio in contrada Serrone, qualche mese fa ho conosciuto una giovane coppia che da alcuni anni ha scelto di vivere lì: lei, Thuy, vietnamita, lui, Ray, nato a New York ma di nonni racalmutesi, importante top manager nel campo del petrolio, fanno la spola con gli Stati Uniti dove lui lavora. Invitano amici da tutte le parti del mondo nella loro bellissima casa che hanno fatto costruire in cima a una collina in posizione panoramica. Di Racalmuto adorano tutto: le campagne, il clima, il cibo, la gente e sopratutto Sciascia, di cui Thuy mi mostra orgogliosa le edizioni inglesi di alcuni libri. Racalmuto e Sciascia, un binomio indissolubile! Chi ama Sciascia non può non amare Racalmuto e viceversa. Sciascia lʼha fatta vivere e lʼha raccontata nelle sue opere facendola diventare emblema della Sicilia, forse anche dellʼItalia intera.

Scrive Sciascia: “Tutti amiamo il luogo in cui siamo nati e siamo portati ad esaltarlo. Ma Racalmuto è davvero un paese straordinario. Oltre al Circolo e al Teatro, che richiamava un tempo le compagnie più in voga, di Racalmuto amo la vita quotidiana, che ha una dimensione un pò folle. La gente è molto intelligente, tutti sono come personaggi in cerca dʼautore…”

Il Circolo citato è il Circolo Unione, di cui lo scrittore fu socio e assiduo frequentatore; per lui luogo dʼincontro con gli amici, di conversazione, ma anche di scontro dialettico. Proprio davanti allʼingresso del circolo, sul marciapiede del corso principale, troviamo la statua di Sciascia a grandezza naturale, realizzata dallo scultore Giuseppe Agnello. Lo scrittore sembra passeggiare con lʼinseparabile sigaretta tra le dita. Irrinunciabile abbracciarsi alla statua per una foto ricordo! Da buon palermitano, specialista nel raddoppio delle consonanti, ho potuto notare che a Racalmuto il cognome Sciascia è invece pronunciato con una “sc” delicatissima, quasi un sibilo, un fruscìo. La tappa più importante dellʼitinerario sciasciano è la Fondazione che porta il nome dello scrittore. Negli oltre ventʼanni di attività ha ospitato importanti personalità del mondo della cultura e della politica; nel 2009 in occasione del ventennale della morte di Sciascia, il Presidente della Repubblica Napolitano ha voluto, con la sua presenza a Racalmuto, porgergli omaggio.

La Fondazione custodisce un vero tesoro: una collezione (donata dallo stesso Sciascia) di oltre 200 ritratti, acqueforti, disegni e dipinti, di scrittori, e pensatori, una mostra fotografica con foto di Sellerio, Scianna e perfino Henry Cartier Bresson, nonchè oltre 2.000 volumi appartenuti allo scrittore. Inoltre vi sono custoditi i rapporti epistolari intrattenuti da Sciascia in oltre 40 anni con intellettuali, artisti, politici e uomini di cultura. Non solo luogo da visitare ma sopratutto luogo di studio e di ricerca. Ma se cʼè un posto verso il quale Sciascia mostrava un attaccamento viscerale questo era la casa di campagna in contrada Noce. Così scriveva: “Le più belle vacanze sono quelle che passo nella campagna del mio paese: ogni anno da quando sono nato…Contrada Noce”. Amava camminare per i campi o in mezzo alle vigne, appoggiandosi ad un bastone più per vezzo che per necessità, sempre in compagnia del fedelissimo Nico Patito (foto del luglio 1979 donatami dallʼIng. Catalano).

Racconta il giornalista Felice Cavallaro, anche lui di Racalmuto, vicino di Sciascia in Contrada Noce, che più di cinquantʼanni fa, in piena campagna, fu istallata una cabina telefonica per consentire a molti importanti politici del tempo di mettersi in contatto con lo scrittore del quale ammiravano il pensiero e, spesso temevano il giudizio. È nella casa di contrada Noce che lo Sciascia si ritirava ogni estate per dedicarsi alla scrittura: “….tutti i miei libri non solo sono stati scritti in quel luogo, ma sono come connaturati ad esso. Al paesaggio, alla gente, alle memorie, agli affetti”. Lì si circondava degli amici più stretti, e spesso si dedicava alla cucina. Così scrive Gesualdo Bufalino che ebbe modo di provare le pietanze cucinate dallʼamico scrittore: “Tanto è asciutta e rigorosa la prosa di Sciascia, tanto invece è barocca e ricca la sua cucina”.

A proposito di prosa asciutta e rigorosa, recentemente ho letto “La sciabola spezzata”, un breve romanzo storico ambientato in Polonia, scritto da Vito Catalano. Mi hanno colpito la fluidità della trama e la precisione nella descrizione, mai prolissa, di luoghi e situazioni. La particolarità sta nel fatto che lʼAutore è nipote del grande Leonardo Sciascia, a testimonianza che la genetica non è unʼopinione!

Oddìo, non ho più spazio! Non sono riuscito a scrivere del Castello; del Castelluccio a pochi chilometri dal centro abitato; della Chiesa di Santa Maria dellʼAnnunziata con le tele di Pietro DʼAsaro detto il monocolo, pittore del ʻ600 nativo di Racalmuto; della Chiesa di Santa Maria del Monte, dove nel mese di luglio i cavalli bardati a festa salgono la scalinata per portare le offerte. Non sono riuscito a scrivere nemmeno delle grotte dove si nascondeva Fra Diego La Matina, il frate ritenuto eretico, che riuscì a uccidere il suo inquisitore; né ho descritto il convento di San Francesco, che ricorda lo Spasimo di Palermo. E purtroppo non sono riuscito nemmeno a parlarvi dei deliziosi tarallucci, né dellʼimpignolata, una sorta di cartoccio con la salsiccia: due peccati di gola che vale la pena commettere.

Mi dispiace! Beh vuol dire che andrete a vedere e a provare di persona….vi assicuro che non ve ne pentirete. Non posso congedarmi però senza aver prima ringraziato i miei amici Alberto e Patrizia Alessi e lʼingegnere Antonino Catalano, che mi hanno aiutato a conoscere e quindi ad amare Racalmuto.

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