Giovanni Paolo II, l’ultimo Papa Re | che ha plasmato la Chiesa a sua immagine

di Adriano Frinchi

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Giovanni Paolo II, l’ultimo Papa Re | che ha plasmato la Chiesa a sua immagine

| sabato 26 Aprile 2014 - 07:20

“A un certo punto della mia, della sua vita, io devo aver pensato che Karol Wojtyla, in arte Giovanni Paolo II, non sarebbe morto mai”. Questa considerazione apparentemente ingenua di Leonardo Tondelli è però probabilmente una delle chiavi per comprendere un pontificato lungo e complesso come quello di Papa Wojtyla.

Per una generazione il Papa è stato lui: ci sono alcuni che sono nati e poi diventati preti sotto il suo pontificato e che una volta deceduto con difficoltà hanno sostituito il suo nome nel canone della messa.

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E non potrebbe essere altrimenti, con quasi 27 anni sulla cattedra di Pietro. Per poco Wojtyla non riuscì a strappare il primato di pontefice più longevo a Pio IX ma gli strappò, senza dubbio, quello di “ultimo papa re”.

Giovanni Paolo II probabilmente è stato per la Chiesa Cattolica quello che la Regina Vittoria fu per l’impero britannico, non solo per lunghezza del regno ma per il rapporto con il suo “regno” cioè la Chiesa cattolica.

Wojtyla in 27 anni plasmò la Chiesa a sua immagine e somiglianza fin quasi ad identificarla con la sua persona, il suo pensiero, le sue emozioni.

Con Giovanni Paolo II l’identificazione della chiesa col Papa ha subito una concentrazione, ancor più accentuata dalla società dei media, in forme mai prima registrate.

La canonizzazione in questo senso è l’atto finale, la consacrazione di questa parabola che ora più che mai assume anche tratti epici. La vicenda personale di Karol Wojtyla, il suo “regno” sono capitoli audaci di una storia dove tutto coopera a tratteggiare la figura maestosa, e per alcuni ingombrante, di Giovanni Paolo Magno.

I dettagli della sua vita sembrano fatti appositamente per essere celebrati, per coglierne all’interno i misteriosi disegni della sopravvivenza: il ventiquattrenne minatore polacco che sopravvive (anche ad un’investimento) nella periferia dell’impero nazista, che poi nonostante la tirannide comunista scala la gerarchia della chiesa cattolica fino a diventarne capo supremo, fino ad arrivare ai colpi di pistola di Alì Agca, a quel misterioso attentato in cui si intrecciano trame politiche e profezie.

Tutto in Giovanni Paolo II sembra abnorme, le sue sfide contro il comunismo e il capitalismo ma anche l’attività “ordinaria” di pontefice: Wojtyla scrive 14 encicliche e un nuovo Catechismo, nomina più santi di tutti i papi prima di lui messi assieme (482), colleziona centoquattro viaggi apostolici, 146 visite pastorali, con più di un milione di km di aereo.

Anche l’agonia e la morte del Papa polacco non sono da meno, una drammatizzazione senza precedenti che sfociano in un immediato e tumultuoso “santo subito!”.

Fu Joseph Ratzinger a doversi sobbarcare l’onore ma soprattutto l’onere di succedere a Wojtyla e di invertire, probabilmente senza fortuna, la tendenza all’identificazione tra papa e chiesa.

Ora la canonizzazione riporta le lancette a quel 2 aprile del 2005 per scrivere un degno finale: dopo il dramma, la gloria.

Nel clamore della canonizzazione rimarranno in ombra le scelte discutibili del papa polacco, ma anche l’uomo di raccoglimento in favore dell’uomo delle folle.

Risulteranno irrilevanti le voci di quanti opponendosi al “santo subito” chiedevano di lasciare Wojtyla alla sua complessità e come tale affidarlo al giudizio della storia.

E ci tornerà in mente Tondelli. Forse Giovanni Paolo II non è mai morto.

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