Trent’anni fa moriva Enrico Berlinguer | E lasciava l’Italia appesa alla questione morale

di Stefania Brusca

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Trent’anni fa moriva Enrico Berlinguer | E lasciava l’Italia appesa alla questione morale

| mercoledì 11 Giugno 2014 - 10:28

Quando Enrico Berlinguer lasciò l’Italia ancora appesa alla questione morale, l’11 giugno 1984, si era guadagnato l’affetto e la stima dell’intero Paese. Non solo degli iscritti al Pci e dei simpatizzanti ma anche dei suoi avversari politici. Un milione di persone si riversò ai suoi funerali a Roma, quando si spense, trent’anni fa. Tra loro c’era anche Giorgio Almirante, leader del Msi.

Lo storico segretario del Pci, fu il padre del compromesso storico, promosse l’allontanamento dall’Urss e dell’eurocomunismo.

Nacque il 25 maggio del 1922 a Sassari da una famiglia benestante. Nella cittadina sarda trascorse l’infanzia e l’adolescenza, e dopo il liceo classico, nel 1940 si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza. L’adesione al Pci risale all’agosto 1943. Da allora prese le mosse il suo impegno politico e Berlinguer iniziò a partecipare alle lotte antifasciste. Nel gennaio del 1944 venne arrestato con l’accusa di essere l’istigatore delle manifestazioni per il pane in Sardegna e restò in carcere quattro mesi. A settembre si trasferì a Roma con la famiglia, poi a Milano.

Nell’estate del 1946 Berlinguer è il capo della delegazione di quindici elementi appartenenti al Fronte della Gioventù che visita l’Unione Sovietica, e viene ricevuto da Stalin. La sua carriera politica nel Pci cominciò nel gennaio del 1948, quando a ventisei anni entrò nella direzione del partito e meno di un anno dopo divennne segretario generale della Fgci, la Federazione giovanile comunista.   Nel 1956 lasciò l’organizzazione giovanile e l’anno dopo sposa a Roma Letizia Laurenti.   Nel 1958 Berlinguer entra nella segreteria del partito. Da allora il rapporto fra Berlinguer e il segretario Togliatti divenne quotidiano. Fra il 1964 e il 1966 Berlinguer mostrò la sua grande capacità di mediare gestendo un acceso scontro interno al partito.

Il Pci di Berlinguer non fu solo il partito della classe operaia: doveva guidare il paese. Nel 1972 infine divenne segretario del Pci e al XII congresso riprese la formula di togliattiana memoria della collaborazione fra le grandi forze popolari: comunista, socialista e cattolica.

Il 12 ottobre del 1973 scrisse: “la gravità dei problemi del paese, le minacce sempre incombenti di avventure reazionarie e la necessità di aprire finalmente alla nazione una sicura via di sviluppo economico, di rinnovamento sociale e di progresso democratico rendono sempre più urgente e maturo che si giunga a quello che può essere definito il nuovo grande compromesso storico tra le forze che raccolgono e rappresentano la grande maggioranza del popolo italiano”. Nel 1976 Berlinguer arrivò la rottura con il Partito Comunista sovietico.

Berlinguer condusse il Pci, dopo le elezioni del 1976, al primo governo della solidarietà nazionale. Nel gennaio 1978  l’incontro con Aldo Moro, il leader democristiano con cui ha costruì il governo della solidarietà nazionale e gli chiese di favorire l’entrata dei comunisti al governo. Intanto il paese era immerso nella pesante atmosfera  degli Anni di Piombo: il terrorismo fa le sue vittime; due mesi dopo le BR rapiscono e uccidono Moro. È la fine della solidarietà nazionale e del progetto di Berlinguer.  Nel 1981, in un’intervista ad Eugenio Scalfari, Berlinguer puntò il dito contro la classe politica italiana, accusandola di corruzione e sollevando la cosiddetta questione morale. Quattro giorni prima di quell’11 giugno del 1984 a Padova, mentre conclude la campagna elettorale per le elezioni europee, fu colpito da un ictus.

Oggi, nel trentennale della morte, Roma intitolerà alla sua memoria un largo vicino via delle Botteghe Oscure, dove sorgeva la storica sede del partito.

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