Venti nuovi presidi di Slow Food, sbarcano al Salone del Gusto di Torino

di Alessia Rotolo

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Venti nuovi presidi di Slow Food, sbarcano al Salone del Gusto di Torino

| martedì 09 Settembre 2014 - 17:20

Sono venti i nuovi presidi individuati dalla fondazione Slow Food su tutto il territorio italiano che sbarcheranno al Salone del Gusto e Terra Madre in programma dal 23 al 28 ottobre al Lingotto di Torino. Le regioni con più presidi risultano essere il Lazio e la Sicilia. Tra le new entry abbiamo il fagiolo rosso scritto del pantano di Pignola della Basilicata che è stato introdotto dagli spagnoli di ritorno dalle Americhe si è adattato perfettamente al clima della valle del Basento, diventando ingrediente fondamentale nella dieta locale. Sempre dalla Basilicata arriva la pera signora della Valle del Sinni, dal settecento nelle aree rurali del Metapontino, la sua coltivazione ha rivestito un ruolo importante lungo il corso dei secoli nelle zone agricole materesi. La varietà più interessante è diffusa nella Valle del Sinni: la Signora o Signura, delicata nel profumo e nella consistenza.

Poi abbiamo la soppressata e la salsiccia del Vallo di Diano proveniente dalla Campania, dove la tradizione norcina nel Vallo di Diano è attestata da secoli e affonda le sue radici nelle attività agricole dell’area, da sempre dedita all’allevamento e alla pastorizia. Caratteristiche della salsiccia e della soppressata sono la laboriosa selezione e lavorazione delle carni, che avviene manualmente tagliando a punta di coltello le parti da insaccare. Rosa di Gorizia del Friuli Venezia Giulia; i contadini goriziani hanno selezionato nei secoli un ecotipo di radicchio particolare, dal colore rosso brillante sfumato di rosa e granata, a forma di bocciolo di rosa. È un ortaggio ormai molto raro, ma che a fine Ottocento era ancora noto in tutta l’area e servito alle tavole degli Asburgo.

Il Lazio ci regala la lenticchia di Rascino, coltivata unicamente sull’omonimo altipiano, situato tra i 1.600 e i 1.800 metri di altitudine, in cui è proibita qualsiasi attività agricola che preveda l’utilizzo di prodotti chimici, diserbanti e trattamenti antiparassitari. I produttori aderenti all’associazione della lenticchia di Rascino sono una ventina, che tramandano a livello familiare la semente del prodotto ancora oggi utilizzata. Dal Lazio arriva anche il fagiolone di Vallepietra, una stretta valle dei Monti Simbruini, si coltiva da generazioni un fagiolo rampicante dal seme bianco molto grande. Il territorio è caratterizzato da numerose sorgenti naturali che hanno permesso nei secoli la semina di questo prodotto simbolo della tradizione gastronomica locale, oggi a rischio di estinzione.

Il Lazio ci regala anche la fagiolina di Arsoli, Vantando uno storico passato, pare che la fagiolina di Arsoli risalga all’epoca di Carlo V d’Aragona, mentre il nome ricorda le sue piccole dimensioni. Rimasta isolata in questa nicchia naturale della campagna di Arsoli, nella Valle del Fosso Bagnatore, negli ultimi decenni del secolo scorso la coltivazione ha rischiato di scomparire: è stata salvata da un anziano coltivatore che ha trasmesso la semente a quattordici produttori che ancora oggi portano avanti la tradizione. Ancora dal Lazio arrivano i chiacchietegli di Priverno, nella pianura di Priverno, dove in prossimità del fiume Amaseno si coltiva una varietà locale di broccoletti caratterizzata da un colore viola e dal sapore delicato.

Le coltivazioni sono però rade e seguite da piccolissimi produttori che vantano ormai un’età media elevata. I fattori temporali e l’introduzione di altre specie ne compromettono la purezza, mettendone a rischio la sopravvivenza. L’ultima chicca laziale sono i giglietti di Palestrina, biscotto della tradizione dolciaria romana legato alla nobiltà che si è succeduta nei secoli attorno alla capitale, il giglietto di Palestrina deve probabilmente il nome alla caratteristica forma a giglio, simbolo araldico della dinastia dei Borbone di Francia. Dal Piemonte arriva la carema, nel Canavese, dove già agli inizi del Novecento il vino costituiva un’importante risorsa economica e culturale, dove gli abitanti hanno adottato un sistema del terrazzamento e realizzato una forma di coltivazione a pergola.

Abbiamo poi la cipolla bionda di Cureggio e Fontaneto del Piemonte, tradizionale della pianura di Cureggio e Fontaneto è di colore biondo dorato e prende il nome dai due comuni che si trovano nella fascia di terreno fertile tra i fiumi Agogna e Sizzone. La caratteristica fondamentale è l’estrema dolcezza che si conserva anche dopo molti mesi dalla raccolta. Dalla Puglia arriva il sospiro di Bisceglie, La ricetta del sospiro risale al 1500, quando al pan di spagna venne data la forma di un seno: svuotato all’interno e riempito di crema, il dolce aveva fondo chiuso ed era completamente cosparso di una glassa di zucchero detta “gileppa”.

Vinosanto affumicato dell’Alta Valle del Tevere dall’Umbria, in Val Tiberina la storia di questo vino è legata a doppio filo con la produzione del tabacco locale. Per tradizione, i grappoli e le foglie di tabacco sono infatti essiccati negli stessi magazzini. I grappoli trascorrono così quattro mesi in ambienti ricchi di fumo delle stufe o dei camini accesi e, all’inizio di gennaio, vengono finalmente diraspati e pigiati. Cavolo vecchio di Rosolini arriva dalla Sicilia, La città di Rosolini si trova tra le province di Ragusa e Siracusa, ai piedi dei monti Iblei e a pochi chilometri dalla Val di Noto. Qui da sempre le famiglie conservano e riproducono i semi di un’antica varietà di cavolo a foglia che coltivano ai bordi delle saline e degli orti. Il cavolo vecchio di Rosolini è alla base delle ricette tradizionali della zona.

Fava cottoia di Modica di Sicilia, Come ci rivela il suo nome, questa fava cuoce in tempi brevi, rendendola un ingrediente popolare nella cucina modicana. Tradizionalmente era utilizzata anche per l’alimentazione del bestiame e come leguminosa nella rotazione delle colture dei cereali, ma negli ultimi anni ha subito una drastica diminuzione a causa dell’aumento di consumi di carne. Fava larga di Leonforte della Sicilia. La coltivazione della fava larga di Leonforte è ancora oggi completamente manuale: proprio perché molto laboriosa e non abbastanza remunerativa, ogni anno vede diminuire il numero di campi a disposizione. Molto saporita, non necessita di un lungo ammollo né di lunghi tempi di cottura.

Pesca nel sacchetto dalla Sicilia. Raccolte a settembre, ottobre e novembre, queste pesche si coltivano da sempre a Leonforte, vicino a Enna. La particolarità è che a giugno, ancora verdi, sono chiuse una a una in sacchetti di carta pergamenata così da essere protette da vento, grandine e parassiti, rimanendo sull’albero fino a maturazione. Albicocca di Scillato ancora dalla Sicilia. Siamo ai piedi del Parco delle Madonie, in provincia di Palermo. È questa la zona di produzione di una particolare varietà di albicocco: precoce, dal frutto piccolo e spesso sfaccettato di rosso, molto profumato e dal sapore intenso. La coltivazione è tradizionale e la raccolta rigorosamente a mano. Siccome i frutti sono sensibili alle manipolazioni e ai trasporti, la loro commercializzazione è limitata ai mercati vicini.

Melo decio di Belfiore ce lo regala il Veneto. L’origine del melo decio potrebbe risalire addirittura all’epoca romana. Il suo nome infatti deriverebbe da D’Ezio, un generale che sbarcò ad Adria e combatté a Padova contro Attila. È proprio a Belfiore che questa varietà ha avuto nel corso degli anni la sua maggiore espansione e ottenuto la migliore qualità produttiva. Il melo decio può essere consumato solo in pieno inverno perché al momento della raccolta presenta un’acidità troppo elevata. Stortina Veronese è l’ultimo presidio Veneto. La stortina è un piccolo salame che si consuma tradizionalmente nella zona del Basso Veronese, e tradizione vuole che si conservi sotto uno strato di lardo macinato per garantirne la freschezza.

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