In 133 ospedali meno di 500 parti ogni anno | I reparti “sotto la soglia” a rischio chiusura

di Redazione

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In 133 ospedali meno di 500 parti ogni anno | I reparti “sotto la soglia” a rischio chiusura

| lunedì 20 Ottobre 2014 - 11:57

Forti disomogeneità nell’efficacia e nell’appropriatezza delle cure tra Regioni, aree, ospedali, con importanti variazioni temporali, e rilevanti differenze nei volumi di attività relativi a procedure chirurgiche. Sono i risultati delle valutazioni contenute nel “Programma nazionale esiti 2014” (Pne), presentato presso il ministero della Salute.

L’indagine, sviluppata da Agenas per conto del ministero della Salute, valuta l’efficacia e l’appropriatezza delle prestazioni assistenziali e delle procedure medico-chirurgiche nell’ambito del SSN, nel periodo 2008-2012 e fornisce a livello nazionale “valutazioni comparative di efficacia, sicurezza, efficienza e qualità delle cure prodotte nell’ambito del servizio sanitario”.

Il Pne individua, oggi, 129 indicatori, osservati sia dal punto di vista dei “provider”, gli ospedali che hanno erogato le cure, sia da quello della funzione di tutela/committenza (le ASL).

Per quanto riguarda le fratture del femore, “la proporzione di pazienti sopra i 65 anni operati entro due giorni è passata dal 28,7% del 2008 al 45,7% del 2013, restando ancora al di sotto dello standard atteso, superiore all’80%. Sulla base dei dati di mortalità a un anno, si stima che il numero di decessi prevenuti in questo periodo, grazie all’anticipazione dell’intervento, è di circa seimila; un effetto protettivo si mantiene per tutte le fasce d’età anche a fronte di diversi gradi di gravità della patologia. A fronte di una proporzione minima del 60% per struttura di interventi chirurgici entro 48 ore su pazienti con frattura di femore di età superiore ai 65 anni, fissata dal ministero della Salute, e di una media nazionale del 45,7%, si osserva una notevole variabilità intra e interregionale con valori per struttura ospedaliera che variano da un minimo dell’1% ad un massimo del 98%”. Confrontando i dati del 2013 con quelli del 2011, si osserva che, mentre nel 2011 tutte le regioni del sud avevano valori di media e mediana inferiori ai valori nazionali, nel 2013, la Sicilia ha valori medi superiori a quelli nazionali, mentre la Basilicata e il Lazio raggiungono i valori medi nazionali, paragonabili a Lombardia e Umbria. La Provincia Autonoma di Bolzano mantiene livelli alti, mentre Emilia Romagna, Veneto e Toscana migliorano ulteriormente pur partendo già da valori alti, riducendo anche l’eterogeneità interna.

Dal rapporto emerge anche che inizia a diminuire, a piccoli passi, il numero dei parti cesarei in Italia. Anche se gli obiettivi fissati sono ancora lontani, specie in alcuni regioni. La proporzione di parti cesarei primari è infatti passata dal 29% del 2008 al 26% del 2013, con grandi differenze tra regioni: in Campania, ad esempio, un parto su 2 è cesareo. L’Organizzazione mondiale della sanità sin dal 1985 afferma che una proporzione di cesarei superiori al 15% non è giustificata. Il regolamento del ministero della Salute sugli standard quantitativi e qualitativi dell’assistenza ospedaliera fissa al 25% la quota massima di cesarei primari per le maternità con più di 1.000 parti e 15% per le maternità con meno di 1.000 parti. Rimangono ancora molto evidenti le differenze tra le regioni del Nord con valori intorno al 20% e le regioni del Sud con valori prossimi al 40% che, nel caso della Campania, arrivano al 50%. La Liguria e la Valle d’Aosta sono le uniche regioni del Nord ad avere invece valori superiori a quelli nazionali.

In Italia ci sono inoltre 133 strutture che effettuano meno di 500 parti l’anno (su 521 ospedali presi in considerazione), e che non rispettano quindi il parametro minimo fissato dai nuovi standard ospedalieri ministeriali. Questa la suddivisione, regione per regione, delle strutture che effettuano meno di 500 parti l’anno: Abruzzo (4); Basilicata (2); Calabria (1); Campania (20); Emilia Romagna (8); Friuli (3); Lazio (12); Lombardia (8); Marche (1); Molise (1); Piemonte (6); Bolzano (4); Trento (4); Puglia (9); Sardegna (10); Sicilia (18); Toscana (8); Umbria (6); Veneto (8). Analizzando nel dettaglio la tabella, balza agli occhi la modesta attività di alcune strutture che effettuano ad esempio 35 parti l’anno, come Villa Regina in provincia di Bologna, oppure 21 parti come l’ospedale Nagar in provincia di Trapani. Gli esperti dell’Agenas spiegano però che sono incluse anche le case di cura private non accreditate che non sempre si riescono a distinguere solo dalla denominazione: per esempio nel Lazio, delle 12 strutture sotto 500, 6 sono case di cura private non accreditate.

 

 

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