Gli sospesero la patente perchè gay | Per la Cassazione il risarcimento è troppo basso

di Redazione

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Gli sospesero la patente perchè gay | Per la Cassazione il risarcimento è troppo basso

| giovedì 22 Gennaio 2015 - 16:57

Dovrà essere “congruamente” risarcito il giovane di Catania al quale, nel 2001, fu ritirata la patente dopo che, alla visita di leva si era dichiarato omosessuale. Lo ha deciso la terza sezione civile della corte di cassazione che ha annullato con rinvio la sentenza emessa nel 2010 dalla corte di appello di Catania che aveva ridotto a appena ventimila euro il risarcimento a carico dei ministeri della Difesa e delle Infrastrutture, nel processo intentato dal giovane per violazione della privacy e discriminazione sessuale.

I giudici della suprema corte hanno accolto il ricorso del giovane contro quella sentenza, scrivendo che “nonostante il malaccorto tentativo della Corte territoriale di edulcorare la gravità del fatto, riconducendola ad aspetti endo-amministrativi non pare revocabile in dubbio che la parte lesa sia stata vittima di un vero e proprio (oltre che intollerabilmente reiterato) comportamento di omofobia”.

Nel 2001, Danilo Giuffrida durante la visita di leva, all’ospedale militare di Augusta,  aveva dichiarato di essere gay ed era stato riformato. L’ospedale comunicò il provvedimento alla Motorizzazione di Catania che notificò al giovane un provvedimento di revisione della patente, chiedendogli di sottoporsi a un nuovo esame di idoneità psico-fisica.

Giuffrida rifece l’esame e lo superò, ma gli fu concessa una patente valida soltanto per un anno, anziché i normali 10. Il giovane si rivolse al tar che sospese il provvedimento e portò in tribunale i due ministeri, chiedendo un risarcimento di mezzo milione di euro.

Il giudice di primo grado, nel 2008, gli diede ragione e riconobbe che “I comportamenti tenuti dalle due amministrazioni appaiono in evidente discriminazione sessuale del Giuffrida e in evidente dispregio dei principi costituzionali. I comportamenti dei due ministeri hanno cagionato grave danno e sofferenza per l’umiliante discriminazione subita”, ma stabilì un risarcimento di centomila euro.

Due anni dopo, in appello, la somma fu ulteriormente ridotta a ventimila euro. Troppo pochi, secondo la Cassazione che ha disposto la rideterminazione del risarcimento.

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