Gli italiani amano sempre la raccomandazione, più di 4 milioni spingono le pratiche nella p.a.

di Redazione

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Gli italiani amano sempre la raccomandazione, più di 4 milioni spingono le pratiche nella p.a.

| giovedì 19 Marzo 2015 - 14:19

Certe cattive pratiche sono dure da sradicare, in Italia tanto da far pensare di essere connaturate con il modo di fare nazionale. Secondo il Censis, 4,2 milioni di italiani hanno fatto ricorso a una raccomandazione o all’aiuto di un parente, amico, conoscente per ottenere autorizzazioni e accelerare pratiche nella pubblica amministrazione. “All’inefficienza della pubblica amministrazione gli italiani si adattano secondo una doppia morale”, scrive il centro di ricerca commentando i risultati della ricerca ‘La composizione sociale dopo la crisi’ realizzata dal Censis nell’ambito dell’iniziativa annuale ‘Un giorno per Martinoli. Guardando al futuro’. Sono quasi 800.000 le persone che hanno fatto un qualche tipo di regalo a dirigenti e dipendenti pubblici per avere in cambio un favore. Un altro sintomo delle difficoltà di rapporto dei cittadini con la pubblica amministrazione è il ricorso a soggetti di intermediazione (Caf, patronati, ecc.) per relazionarsi con gli uffici pubblici: nell’ultimo anno lo hanno fatto 3,3 milioni di italiani.

Colpa – anche – della cattiva reputazione che ha la pubblica amministrazione tra gli italiani. Il 50,5% degli italiani pensa che la pubblica amministrazione funzioni male (il dato sale al 59% al Sud) e solo per meno dell’1% funziona molto bene. Per il 63,5% nell’ultimo anno la pubblica amministrazione non è cambiata, per il 21,5% è addirittura peggiorata e solo per il 15% è migliorata. Per farla funzionare meglio il 45,3% degli italiani chiede in primo luogo il pugno di ferro per punire i corrotti e regole più severe per licenziare i finti malati. Il 34,7% vorrebbe l’assunzione di dirigenti giovani, dinamici e capaci di organizzare meglio le cose. Il 22,1% chiede che i dipendenti pubblici siano licenziabili come quelli che lavorano nel privato e il 19,3% vuole che i più meritevoli vengano pagati meglio.

La ricerca ha evidenziato che in Italia ci sono oltre un milione di società di capitali attive: sono le più robuste e strutturate nell’universo di 5,2 milioni di imprese italiane complessive, quelle in grado di attirare risorse e mettersi in marcia verso la ripresa. E ci sono 212.000 imprese esportatrici e soggetti economici che fanno business all’estero, per un valore dell’export pari nell’ultimo anno a 380 miliardi di euro. Crollo del prezzo del petrolio, euro debole sul dollaro e denaro a basso costo mettono le ali alle imprese italiane che vanno per il mondo. Nemmeno nella crisi è venuto meno il vizio antico degli italiani del fare impresa: a fine 2014 si è registrato un saldo attivo di 32.000 imprese aggiuntive, con un’onda più intensa nelle regioni centrali (quasi 13.000 imprese in più nell’anno) e nelle province di Roma (+10.398 imprese) e Milano (+7.648 imprese).

Il bilancio dell’occupazione nel periodo della crisi testimonia la perdita di 615.000 posti di lavoro e l’aumento del precariato. Sui nuovi assunti del 2013 le persone con contratto a tempo determinato (inclusi i cocopro) sono state il 60,2% del totale, mentre nel 2007 erano il 51,3%. E tra i giovani la percentuale sale al 69,6%. I precari sono l’11,6% degli occupati totali, ma sono il 31,2% dei licenziati o usciti dal lavoro nell’ultimo anno.

Le persone a rischio di povertà o esclusione sociale in Italia sono aumentate di oltre 2,2 milioni negli ultimi sei anni di crisi: sono passate da 15.099.000 a 17.326.000. Il tasso di persone a rischio di povertà o esclusione sociale è pari al 28,4% in Italia, superiore a Spagna (27,3%), Regno Unito (24,8%), Germania (20,3%) e al valore medio dell’Ue (24,5%). Le disuguaglianze sono aumentate perché chi meno aveva più ha perso: nell’ultimo anno gli operai hanno avuto un taglio della spesa media familiare mensile del 6,9%, gli imprenditori del 3,9% e i dirigenti dell’1,9%.

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