Cosa prevede la legge anticorruzione /SCHEDA

di Redazione

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Cosa prevede la legge anticorruzione /SCHEDA

| giovedì 21 Maggio 2015 - 20:23

La legge “anticorruzione”, più propriamente la legge sui Reati contro la Pubblica amministrazione e falso in bilancio, prevede l’aumento delle pene per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione e la riforma del falso in bilancio.

La prima parte della legge riguarda i reati contro la pubblica amministrazione. :

L’art. 32 eleva a 3 e 5 anni i limiti di durata minima e massima dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (attualmente, un anno e tre anni);

l’art. 32-quinquies c.p., disciplina i casi nei quali alla condanna consegue l’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego, per prevedere che tale pena accessoria nei confronti del dipendente di pubbliche amministrazioni consegue alla condanna alla reclusione non inferiore ai 2 anni (oggi è per pene non inferiori a 3 anni) per i delitti di peculato, concussione, corruzione per l’esercizio della funzione, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, corruzione in atti giudiziari, induzione indebita a dare o promettere utilità, ovvero corruzione di persona incaricata di pubblico servizio;

– l’art. 35 c.p., aumenta il tempo minimo e massimo di durata della sospensione dall’esercizio di una professione (si passa dagli attuali 15 gg e 2 anni a 3 mesi e 3 anni).

aumenta le pene previste dal codice penale per una serie di reati del pubblico ufficiale contro la pubblica amministrazione; in particolare, la pena massima per il peculato (art. 314) è la reclusione a 10 anni e 6 mesi (oggi è 10 anni); la pena massima per la corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318) è la reclusione fino a 6 anni (oggi, è 5 anni); la pena per il reato di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (art. 319) è la reclusione da 6 a 10 anni (oggi da 4 a 8 anni); la pena per il reato di corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter) è la reclusione da 6 a 12 anni (oggi da 4 a 10 anni); per lo stesso reato, se dal fatto deriva l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a 5 anni, la pena è della reclusione da 6 a 14 anni (oggi da 5 a 12 anni) mentre se l’ingiusta condanna è la reclusione superiore a 5 anni o l’ergastolo, la pena è della reclusione da 8 a 20 anni (oggi da 6 a 20 anni); infine, la pena per il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater) diventa la reclusione da 6 a 10 anni e 6 mesi (oggi da 3 a 8 anni).

la legge introduce una nuova circostanza attenuante (art. 323-bis c.p.), che consente una diminuzione della pena da un terzo a due terzi per colui che, responsabile di specifici delitti contro la pubblica amministrazione (artt. 318, 319, 319-ter e quater, 320, 321, 322 e 322-bis c.p.), si sia efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite.

La fattispecie di concussione (art. 317 c.p.) viene modificata per ampliarne l’ambito soggettivo di applicazione, per ricomprendervi anche “l’incaricato di un pubblico servizio”, e dunque tornare alla formulazione precedente alla c.d. legge Severino (L. 190/2012).

Inoltre, modificando l’art. 165 c.p., il provvedimento subordina l’accesso alla sospensione condizionale della pena per un catalogo di reati contro la pubblica amministrazione (artt. 314, 317, 318, 319, 319-ter e quater, 320 e 322-bis c.p.) al pagamento, a titolo di riparazione pecuniaria, di una somma equivalente al profiitto del reato ovvero all’ammontare di quanto indebitamente percepito, fermo restando il diritto all’eventuale risarcimento del danno.

La riparazione pecuniaria viene in particolare disciplinata dal nuovo art. 322-quater c.p., che stabilisce che con la sentenza di condanna per un delitto contro la p.a., viene sempre ordinato il pagamento di una somma pari all’ammontare di quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale (o dall’incaricato di un pubblico servizio), a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione di appartenenza, ovvero, in caso di corruzione in atti giudiziari, in favore dell’amministrazione della giustizia, restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno.

Il provvedimento condiziona inoltre l’accesso al rito speciale del c.d. patteggiamento, in relazione ai procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali contro la p.a., alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato.

Ulteriori modifiche riguardano il ruolo dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC). Il provvedimento, infatti, pone in capo al PM che esercita l’azione penale per reati contro la pubbica amministrazione obblighi informativi nei confronti del Presidente dell’ANAC; modifica la legge Severino (L. 190 del 2012) per attribuire all’Autorità nazionale anticorruzione compiti di vigilanza anche sui contratti pubblici ai quali non si applica il c.d. Codice degli appalti (es., i contratti secretati); prevedere obblighi informativi semestrali a carico delle stazioni appaltanti (sui bandi di gara, i partecipanti, l’importo di aggiudicazione; i tempi di completamento dell’opera, l’importo delle somme liquidate) nei confronti dell’Autorità nazionale anticorruzione; prevedere analoghi obblighi informativi all’ANAC da parte dei giudici amministrativi quando, nelle controversie sull’aggiudicazione dell’appalto, rilevino anche sommariamente elementi di scarsa trasparenza delle procedure.

Il provvedimento, infine, dispone un aumento generalizzato delle pene per il reato di associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.).

La seconda parte della legge è dedicata alla riforma della disciplina del falso in bilancio. La novità principale prevista dal provvedimento è che il falso in bilancio torna ad essere un delitto per tutte le imprese, non solo per quelle quotate in borsa.

La reclusione, per le società quotate, in base al testo unificato va da 3 a 8 anni (oggi è fra i 6 mesi e i 3 anni), mentre per le aziende non quotate va da 1 a 5 anni (oggi la pena è l’arresto fino a 2 anni, ma ci sono una serie di casi di esclusione della punibilita che sono stati cancellati). Il testo prevede anche un inasprimento delle sanzioni amministrative a carico delle società.

In particolare, per quanto riguarda il falso in bilancio nelle società non quotate, il provvedimento stabilisce che il reato sia sempre punito come delitto con pene detentive che possono andare da 1 a 5 anni (il limite di pena non consente l’uso delle intercettazioni). In base al vigente art. 2621, invece, il reato è punito a titolo di contravvenzione con l’arresto fino a un massimo di due anni e la punibilità è esclusa se falsità e omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale appartiene, oppure se determinano una variazione del risultato economico, al loro delle imposte, non superiore al 5%, o del patrimonio netto non superiore all’1%, o ancora se sono conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10% da quella corretta. In questi casi, scatta una sanzione amministrativa (da uno a cento quote), l’interdizione dagli uffici direttivi da sei mesi a tre anni, e da una serie di cariche societarie (come amministratori, sindaci, liquidatori, dirigenti con funzioni anche contabili).

Ci sono però casi in cui il provvedimento in esame prevede pene ridotte per il reato di falso in bilancio di cui all’art. 2621: se i fatti sono di lieve entità la pena va da un minimo di 6 mesi a un massimo di 3 anni (nuovo art. 2621-bis); la lieve entità viene valutata dal giudice, in base alla natura e alle dimensioni della società e alle modalità o gli effetti della condotta dolosa. La stessa pena ridotta, (da 6 mesi a 3 anni) si applica nel caso in cui il falso in bilancio riguardi le società che non possono fallire (quelle che non superano i limiti indicati dal secondo comma dell’articolo 1 della legge fallimentare). In questo caso, il reato è perseguibile a querela di parte (della società, dei soci, dei creditori o degli altri destinatari della comunicazione sociale) e non d’ufficio. Lo stesso art. 10, introducendo nel codice civile un nuovo art. 2621-ter, prevede, poi, una ipotesi di non punibilità per particolare tenuità del falso in bilancio.

Vengono anche inasprite le sanzioni pecuniarie previste dall’art. 25-ter del D.Lgs 231/2001 a carico delle società per il falso in bilancio di cui all’art. 2621 c.c. (da 200 a 400 quote, invece delle 100-150 attuali); per il falso in bilancio di lieve entità le sanzioni pecuniarie sono, invece, stabilite tra 100 e 200 quote.

Per quanto riguarda la disciplina del falso in bilancio nelle società quotate, il provvedimento modifica l’articolo 2622 del codice civile, che attualmente riguarda il falso in bilancio in danno della società, dei soci o dei creditori e prevede una detenzione da sei mesi a 3 anni.

La legge riferisce l’illecito alle società quotate aumentando la pena (reclusione da 3 a 8 anni). Le principali novità consistono nel fatto che il falso in bilancio diventa reato di pericolo anzichè (come ora) di danno, la procedibilità è d’ufficio (anzichè a querela) e, come nel falso in bilancio delle società non quotate, scompaiono le soglie di non punibilità; anche qui è poi modificato il riferimento al dolo ed è eliminato quello all’omissione di “informazioni”, sostituito da quello all’omissione di “fatti materiali rilevanti” (la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene). Alle società quotate sono equiparate: le società emittenti strumenti finanziari per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea, le emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione italiano, le società che controllano società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea, e le società che fanno appello al pubblico risparmio o che comunque lo gestiscono.

Anche in tal caso, sono incrementate le sanzioni pecuniarie previste dal citato D.Lgs 231 del 2001, che – per il falso i bilancio nelle società quotate – passano da 400 a 600 quote (dalle attuali 150-330).

 

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