Bari, 40 arresti per estorsione al clan Strisciuglio | Ricostruite le dinamiche dei riti di affiliazione

di Redazione

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Bari, 40 arresti per estorsione al clan Strisciuglio | Ricostruite le dinamiche dei riti di affiliazione

| martedì 07 Luglio 2015 - 07:36

Sgominato clan mafioso barese degli Strisciuglio dedito alle estorsioni nei confronti di imprenditori pugliesi. Le indagini, che hanno portato a 40 arresti, hanno ricostruito anni di egemonia e di dominio del clan in settori vitali dell’economia, primo fra tutti il settore edile con la doppia imposizione del pizzo a imprenditori che pur di lavorare tranquilli hanno pagato sia gli Strisciuglio, sia gli uomini del clan Di Cosola.

Tra gli arrestati spicca il nome di Domenico Strusciuglio, capo dell’omonimo clan già detenuto a Novara, Sigismondo Strisciuglio, in carcere a Milano, e quello della moglie di quest’ultimo, Eugenia Prudente, destinata alla sezione femminile del carcere di Lecce. Dei 40 arrestati, 39 sono finiti in carcere, uno ai domiciliari (un collaboratore di giustizia residente in una località protetta); 9 le persone denunciate a piede libero.

Alcuni esponenti del clan avrebbero avuto inoltre un ruolo di rilievo tra gli ultrà del Bari Calcio e sarebbero stati in grado di estorcere il pizzo agli ambulanti in occasione di recenti concerti musicali allo stadio San Nicola.

Dall’indagine è inoltre emerso che il clan usava i loculi del cimitero per nascondere armi e munizioni: dietro la lapide di un professore morto nel 1962 sono state trovate pistole e proiettili. Il clan aveva anche una bombao tipo “ananas”, in grado di far saltare in aria un’abitazione o un negozio.

I carabinieri hanno anche ricostruito le dinamiche dei riti di affiliazione mutuati dalla camorra campana e bloccati dai fratelli Strisciuglio perché ritenuti troppo pericolosi per la segretezza del clan. Il rito prevedeva che il nuovo affiliato fosse presentato ufficialmente agli altri dal proprio padrino. Veniva annunciato così: “Questo è un mio ragazzo”. Il giovane iniziava poi la carriera interna al clan con i “gradi di battesimo” e dopo il quarto grado aveva facoltà di fondare un proprio clan. Da quanto è inoltre emerso dagli atti, l’apparentamento garantiva economicamente la famiglia in caso di arresto dell’ affiliato. I familiari ricevevano una somma mensile detta “spartenza” ed era così che i capi, anche se in carcere, potevano garantire un alto tenore di vita alle famiglie affrontando in modo sfarzoso anche grossi eventi come un matrimonio.

Un ruolo chiave avevano le donne vere e proprie messaggere del clan: aggiornavano i capi in carcere sulle dinamiche di affiliazione, riuscendo a far entrare nelle celle anche la droga.

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